La somministrazione dei pasti in un contesto lavorativo rientra tra i benefit più frequenti che il datore di lavoro, nell’ambito della governance aziendale, eroga ai propri dipendenti. In alcuni casi, il datore di lavoro decide unilateralmente di garantire un servizio di vitto, mentre in altri è obbligato a provvedervi secondo quanto previsto dall’accordo collettivo o dal regolamento aziendale applicato.
Le somministrazioni di vitto possono avvenire, oltre che tramite le mense, per mezzo dei servizi sostituivi di mensa: i buoni pasto (Allegato II.17 del d.lgs. n. 36 del 2023, in cui è confluito il precedente D.M. n.122 del 2017).
Per servizi sostitutivi di mensa, si intendono dunque le somministrazioni di alimenti e bevande e le cessioni di prodotti di gastronomia pronti per il consumo, che vengono effettuate dagli esercizi commerciali abilitati.
In questo senso, i buoni pasto, come stabilito dall’art. 2 dell’All. II.17, D.Lgs. n. 36/2023, costituiscono i documenti di legittimazione (art. 2002 c.c.) attraverso cui viene erogato il servizio sostitutivo di mensa. Questi buoni, in formato cartaceo, elettronico o digitale, identificano l’avente diritto alla prestazione di vitto.
Il datore di lavoro può riconoscere i buoni pasto non solo ai lavoratori dipendenti, a tempo indeterminato o determinato, a tempo pieno o part time, ma anche a soggetti non titolari di un rapporto di lavoro subordinato.
Infatti, l’art. 2, lett. g) dell’All. II.17, D.Lgs. n. 36/2023 stabilisce espressamente che i titolari dei buoni pasto possono essere anche coloro i quali abbiano instaurato un rapporto di collaborazione, non necessariamente subordinato, con il soggetto che li corrisponde.
Concentriamoci, peraltro, su un caso diverso. Analizziamo, in particolare, l’erogazione dei buoni pasto agli amministratori e ai soci di una società.
I buoni pasto per gli amministratori
Il buono pasto può essere assegnato anche agli amministratori di una società. Per individuare il corretto trattamento fiscale da riservare a questi buoni, dobbiamo, prima, comprendere quali regole applicare per determinare il reddito prodotto dall’amministratore assegnatario. L’amministratore di società ha il compito di dirigere e organizzare tutta l’attività della realtà che gestisce, rendendosi responsabile delle proprie scelte nei confronti di questa.
Dal punto di vista del rapporto tra amministratore e società, questi sono legati da un cosiddetto “rapporto organico”. In altre parole, non sussiste un vero e proprio rapporto di lavoro tra la persona fisica e l’ente: l’amministratore si identifica con lo stesso ente che gestiste e rappresenta, e di cui esprime all’esterno la volontà.
In ogni caso, per svolgere le proprie mansioni di “organo” della società, l’amministratore ha diritto a quello che viene definito “compenso dell’amministratore”.
Ma come viene tassato questo compenso? La tassazione varia in base alla forma contrattuale prescelta per svolgere la carica di amministratore: collaborazione tipica e collaborazione professionale.
Collaborazione tipica e buoni pasto
Le somme e i valori in genere percepiti in relazione agli uffici di amministratore sono fiscalmente qualificati come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.
In particolare, nel caso in cui l’ufficio di amministratore venga inquadrato come una “collaborazione tipica” (che, come sopra accennato, lega l’amministratore all’ente da un rapporto di immedesimazione organica) il compenso è inquadrato, per espressa previsione del legislatore (art. 50, comma 1, lett. c-bis) del TUIR), nella categoria menzionata.
Per tali redditi, si applica la disciplina in materia di lavoro dipendente (art. 51 del TUIR).
In questa disciplina dovrebbe essere incluso anche il regime fiscale di favore previsto per i buoni pasto dall’art. 51, comma 2, lett. c), TUIR. Pertanto, anche i buoni pasto assegnati dalla società all’amministratore non dovrebbero concorrere – come per i lavoratori dipendenti – alla formazione del reddito, fino all’importo complessivo giornaliero di 4 euro, nel caso di buoni pasto in formato cartaceo, o di 8 euro nel caso di buoni pasto in formato elettronico. Rimarrebbe fermo il necessario riconoscimento dei buoni pasto alla generalità o a categorie omogenee di lavoratori (Circ. Min. n. 326/E/1997).
Sul tema, l’Amministrazione finanziaria (Risp. n. 522/2019) è intervenuta sul trattamento fiscale di servizi di welfare aziendale assegnati all’amministratore, esprimendo un principio che dovrebbe valere anche per l’assegnazione dei buoni pasto.
In particolare, l’Agenzia ha ritenuto che i tre membri del Consiglio di Amministrazione, destinatari di benefit di welfare (nella specie, servizi di utilità sociale, di cui alla lett. f) dell’art. 51, comma 2, TUIR, e servizi di educazione e istruzione, di cui alla successiva lett. f-bis)) non costituissero una “categoria omogenea” di lavoratori. Questo in ragione del fatto che soltanto uno dei membri percepiva un compenso per l’attività svolta, mentre gli altri due svolgevano l’incarico a titolo gratuito.
Mancando il requisito essenziale della categoria omogenea, è stata esclusa la fruizione del regime di esenzione previsto per i servizi welfare. Senza dimenticare che l’Amministrazione ha rilevato, inoltre, come l’assegnazione di benefit ad amministratori che non percepiscono alcun compenso per l’incarico svolto, porti a ritenere che gli stessi benefit assolvano una funzione essenzialmente remunerativa e debbano, pertanto, essere assoggettati a tassazione (art. 51, comma 1, TUIR).
Applicando i principi menzionati ai buoni pasto per gli amministratori, si potrebbe ritenere che tali buoni, per scontare il regime di esenzione previsto dall’art. 51, comma 2, lett. c), TUIR, dovrebbero essere riconosciuti ad amministratori percettori di un compenso per l’incarico svolto – pena la qualificazione come remunerazione. In ogni caso, non dovrebbero tradursi in un’assegnazione ad personam, ma costituire un’assegnazione in favore di una categoria omogenea di destinatari.
Occorre, da ultimo, segnalare l’isolato orientamento dell’Agenzia delle Entrate (Risp. n. 10/2019) che ha affermato che l’amministratore di una società non potrebbe fruire del regime fiscale di favore previsto dalla disciplina sui redditi di lavoro dipendente (estendibile, come anticipato, al reddito dell’amministratore) per i beni e servizi welfare (art. 51, comma 2, TUIR). Questo poiché mancherebbe, a tal fine, il requisito della subordinazione-dipendenza e l’amministratore non sarebbe in alcun modo assimilabile al lavoratore subordinato alle dipendenze della società.
Anche per la società, che decida di attribuire i buoni pasto agli amministratori, sussistono vantaggi fiscali. Il costo sostenuto per l’acquisto dei buoni pasto è integralmente deducibile ai fini delle imposte dirette (art. 95, comma 1, TUIR), a condizione – anche in questo caso – che i buoni pasto vengano assegnati alla generalità o a categorie di dipendenti (cfr. Circ. n. 326/E/1997). L’IVA addebitata dall’emettitore dei buoni pasto con aliquota al 4% è, inoltre, interamente detraibile.
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Collaborazione professionale e buoni pasto
Diversa è l’ipotesi in cui l’attività di amministratore rientri nell’oggetto dell’attività professionale del soggetto che la svolge e sia, quindi, richiesto l’impiego di conoscenze tecnico-giuridiche direttamente collegate all’attività di lavoro autonomo.
In questo caso, il compenso percepito dall’amministratore costituisce reddito di lavoro autonomo, di cui agli artt. 53 e 54 TUIR (circ. 105/E/2001). Il compenso costituisce, quindi, il corrispettivo della prestazione di servizi svolta dall’amministratore – titolare di partita IVA – e viene corrisposto a seguito dell’emissione di apposita fattura.
Anche il trattamento fiscale dei buoni pasto segue le regole previste per la determinazione del reddito di lavoro autonomo. Può ritenersi che i buoni pasto, assegnati dalla società, all’amministratore, lavoratore autonomo, in quanto connessi alla prestazione effettuata in favore della società medesima, dovrebbero essere qualificati come compenso e concorrere alla formazione del reddito dell’amministratore – che dovrebbe indicarli in fattura.
Per la società che eroga i buoni pasto, le regole concernenti le imposte dirette e l’IVA rimangono invariate rispetto a quelle esposte prima.
Cosa succede se il buono pasto è attribuito al socio?
I soci di una società sono coloro i quali, attraverso un negozio giuridico, decidono di costituire una società e detengono la proprietà del capitale sociale. Il socio ha diritto alla partecipazione agli utili della società.
Per identificare il regime fiscale degli utili attribuiti ai soci occorre distinguere in base alla natura dell’ente.
Nel caso delle società di persone, si applica il cosiddetto. “regime della trasparenza fiscale”: i redditi da esse prodotti sono imputati a ciascun socio indipendentemente dalla percezione e proporzionalmente alla corrispondente quota di partecipazione agli utili.
Il reddito imputato direttamente ai soci è qualificato come reddito d’impresa (art. 6, comma 3, TUIR), se conseguito da società di persone commerciali, ossia snc e sas, o in base alle altre categorie reddituali (art. 6 TUIR) se conseguito da società semplice.
Nel caso di società di capitali, invece, i dividendi distribuiti ai soci sono tassati quali redditi di capitale (art. 44 TUIR), fatta eccezione per gli utili conseguiti dai soci fondatori, che costituiscono redditi di lavoro autonomo (art. 53, comma 2, lett. d), TUIR, in questo caso vale quanto detto per gli amministratori legati alla società da un rapporto di collaborazione professionale).
Fatta eccezione per quest’ultima ipotesi, quanto corrisposto dalla società al socio non costituisce – a differenza dell’amministratore – un “compenso”, ossia il corrispettivo di una specifica prestazione svolta.
Per quanto concerne, dunque, il socio assegnatario e il relativo reddito imponibile derivante dall’assegnazione, si evidenzia che, a seconda della fattispecie cui sia collegata l’assegnazione possono verificarsi situazione diverse in merito alla emersione o meno di reddito imponibile.
Se la società delibera, ad esempio, l’assegnazione del buono pasto a titolo di distribuzione di utili, il regime di tassazione del buono pasto sarà quello individuato dall’art. 47, comma 3, TUIR per gli utili in natura, assume cioè rilevanza il valore imponibile dell’utile in natura determinato in relazione al valore normale dello stesso.
Diversamente, il buono pasto può essere assegnato al socio a seguito di ripartizione di riserve o di fondi assimilati al capitale sociale; in tali ipotesi, l’assegnazione del buono pasto ha solo valore patrimoniale e, non producendo ricchezza, non risulta rilevante sul piano impositivo.
Alla stessa conclusione si giunge nel caso in ui l’assemblea deliberi di assegnare, per pura liberalità, i buoni pasto ai soci.
Anche in questo caso, lo spirito meramente donativo conferisce matrice erogativa all’assegnazione del buono pasto, che è pertanto fiscalmente irrilevante. Dobbiamo comunque precisare che la natura dell’assegnazione, così come individuata dalla delibera assembleare, può non assumere alcuna rilevanza nel caso in cui operi la cosiddetta presunzione legale di distribuzione degli utili, prevista dall’art. 47, comma 1, TUIR. In particolare, qualora la delibera preveda, per esempio, l’attribuzione ai soci di riserve di capitale (fiscalmente irrilevanti), la presenza di riserve di utili disponibili comporterebbe automaticamente la riqualificazione in utili della distribuzione ai soci, tassabili in capo a questi ultimi.
In tal caso, dunque, i buoni pasto, a prescindere dalla causa sottesa alla loro erogazione, così come individuata dalla delibera assembleare, concorrerebbero alla formazione del reddito del socio ai sensi dell’art. 47, comma 3, TUIR.
La deducibilità dei buoni pasto per gli amministratori
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Ci sono inoltre diversi vantaggi legati a dove spendere i buoni pasto digitali e come spenderli.