Welfare aziendale
13 Mar 2023
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Smart working e lavoro agile: differenze e opportunità

Cos’è lo smart working oggi, qual è la differenza con il remote working e com'è cambiato dopo la fine dello stato d'emergenza? Tra il ritorno agli accordi individuali e diritto alla disconnessione come sta cambiando questa modalità di lavoro.
Autore
Cristina Maccarrone
smart working

Lo smart working ha senza dubbio avuto negli ultimi un’impennata dovuta all’emergenza sanitaria, ma in realtà esiste da tanti anni e rappresenta una delle misure più efficaci per aiutare i dipendenti nella gestione del tempo casa-lavoro.

Porta non solo vantaggi ai dipendenti, ma anche alle aziende, sia in termini di costi che nella riduzione dell’assenteismo oltre che nell’aumento di produttività. 

Ma cosa rappresenta di fatto lo smart working nel 2023? Come sta cambiando? Come gestirlo? E soprattutto come i benefit aziendali e il welfare aziendale possono aiutare i lavoratori anche quando questi si trovano lontani dall’ufficio?

Cerchiamo di scoprirlo partendo con il capire cosa è lo smart working, quali leggi oggi lo regolano, per proseguire con la differenza che c’è con il remote working e altre modalità di lavoro.

Cos'è lo smart working

Stando alla definizione che ne dà il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, per smart working si intende “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro”. 

Inoltre è “una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”. La definizione è contenuta su quella nella legge n.81 del 2017 che mette l’accento su alcune parole chiave: flessibilità organizzativa, volontarietà delle parti e uso di strumenti per lavorare in mobilità. Vale a dire computer portatili, smartphone e tablet. 

Non ci sono né tantomeno ci devono essere disparità di trattamento economico tra chi lavora in ufficio e chi in modalità smart né differenze dal punto di vista normativo. Chi lavora in smart working ha la tutela in caso di infortuni e malattie professionali come ha precisato l’INPS nella circolare n.48/2017.

 
 

Le aziende per attivare lo smart working devono sottoscrivere accordi individuali che devono essere inviati presso l’apposita piattaforma informatica del Ministero del Lavoro.

Come attivare oggi lo smart working

Prima dell’attuale emergenza sanitaria, e come previsto dalla legge per il lavoro agile, le aziende per attivare lo smart working dovevano quindi sottoscrivere accordi individuali da inviare tramite l’apposita piattaforma informatica del Ministero del Lavoro. 

L’uso del passato non è casuale perché non è stato così né per il 2020 né per tutto il 2021, quando, per via della pandemia e come precisato dal cosiddetto Decreto Proroghe, vale a dire il Decreto Legge n.56 del 30 aprile 2021, c’è stata una deroga agli accordi individuali.

E per il 2023? Dopo la fine della fase emergenziale, come è già avvenuto nel 2022, si è tornati all’accordo individuale tra lavoratore e datore di lavoro, così come regolato dall’articolo 19 della Legge n.81 del 2017 per il lavoro Agile e dal Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile che è stato sottoscritto il 7 dicembre 2021.

Lo smart working attivato nel 2023 quindi prevede in base agli articoli della Legge n.81:

  • forma scritta obbligatoria dell’accordo individuale;
  • discplina della prestazione lavorativa, ossia indicare quando viene svolta fuori dai locali aziendali e i tempi di risposo;
  • misure tecniche e organizzative per assicurare la disconessione.

Altri aspetti sono poi emersi grazie al Protocollo del 7 dicembre 2021. Vediamoli ancora più in dettaglio.

Lo smart working per i dipendenti privati: il Protocollo nazionale

Il Protocollo nazionale sul Lavoro Agile per il settore privato,  come dicevamo ha introdotto delle importanti novità. 

Firmato dal Ministero insieme a diverse sigle sindacali il Protocollo si basa su 7 punti fondamentali:

  • adesione volontaria;
  • accordo individuale;
  • disconnessione;
  • luogo e strumenti di lavoro;
  • salute, sicurezza, infortuni e malattie professionali;
  • parità di trattamento, pari opportunità, lavoratori fragili e disabili;
  • formazione.

Un protocollo che dunque ha definito degli aspetti che in epoca di pandemia erano stati controversi. 

L’adesione volontaria prevede che nessuno possa essere obbligato a fare smart working né tantomeno essere licenziato se si rifiuta. 

Tra gli aspetti importanti anche quello della disconnessione si collega poi al fatto che non ci deve essere un orario definito, ma autonomia nello svolgimento dei compiti e pertanto per lo smart working non è previsto lo straordinario. 

Tra le altre cose, il Protocollo ha identificato – aspetto tutt’altro che trascurabile – la parità di trattamento così come i pieni diritti sindacali.

Per parità di trattamento si intendono: 

  • identità di trattamento normativo ed economico, anche per i premi di risultato;
  • identità di opportunità rispetto ai percorsi di carriera, di iniziative formative e di ogni altra opportunità di specializzazione e progressione della propria professionalità;
  • stesse forme di welfare aziendale e di benefit previste dalla contrattazione collettiva e dalla bilateralità.

Connesso a quanto detto sopra, il Protocollo, per garantire la parità dei genitori e il work-life balance, ha previsto che le parti si impegnassero a rafforzare i servizi e le misure di equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e chi presta assistenza per esempio a una persona malata.

Per quel che riguarda invece i lavoratori fragili, come stabilito dalla Legge di Bilancio 2023, c’è una proroga fino al 31 marzo per avere diritto di accesso al lavoro fragile, cosa che non è successa per i genitori di figli under 14. Nel loro caso, se vogliono attivare lo smart working devono essere fatti degli accordi individuali. 

Ma restiamo nel campo dei benefit connessi allo smart working.

Smart working e buoni pasto

Si è parlato molto del concedere o meno i buoni pasto durante lo smart working. Il Protocollo parlando di parità di trattamento economico e di stesse forme di welfare aziendale, sostanzialmente mette un punto alla questione dicendo che sì, i buoni pasto vanno riconosciuti anche in smart working. 

Questo sia per avere un’uguaglianza nei benefit concessi che per il fatto che, se i buoni pasto aumentano il potere d’acquisto del dipendente o collaboratore (che può utilizzarli anche per fare la spesa al supermercato), non riconoscerli vorrebbe dire attuare una disparità economica. 

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Detto questo, spesso si fa confusione tra smart working, lavoro agile e remote working. Cerchiamo di capire quali sono le differenze. 

Differenze tra smart working e lavoro agile

In tanti tendono a far combaciare lo smart working con il lavoro agile o con il remote working, ma ci sono delle differenze. Vediamo quali sono.
Lavoro agile e smart working vengono utilizzati spesso come sinonimi e nella legge sopracitata per esempio si utilizza la definizione “all’italiana” anziché quella “all’inglese”.

A dire il vero smart working e lavoro agile sono quasi sinonimi anche se il secondo sostanzialmente si rifà alla metodologia Agile.
Di cosa si tratta? Detta a grandi linee, prevede nel campo dell’informatica che si creino in modo facile team multidisciplinari che si adattano di volta in volta al contesto per concretizzare il progetto. Si parte da un’impostazione meno gerarchica, ma più orizzontale e ci si basa su un modo diverso di organizzare il lavoro: agile per l’appunto.

Agile working e smart working quindi non sono proprio la stessa cosa, ma usare l’uno anziché l’altro è comunque “tollerato”.

Differenze tra smart working e telelavoro

La vera differenza invece consiste tra lo smart working e il telelavoro, anche detto remote working. 

Si basa sostanzialmente su un approccio diverso in merito a:

  • luogo di lavoro;
  • orario di lavoro.

Il lavoro da remoto, regolato dall’accordo interconfederale del 9 giugno 2004 e dai contratti collettivi, presuppone che il dipendente svolga un’attività a distanza, senza che ci sia la presenza in ufficio.  

 
 

Nel caso del telelavoro si tratta di una tipologia di lavoro che viene regolata dall’azienda: questa infatti si deve preoccupare che il luogo - che sostanzialmente è sempre lo stesso e coincide con l’abitazione, un ufficio o un coworking - dove viene svolto il telelavoro sia idoneo e sicuro per il dipendente e che questi abbia gli strumenti tecnologici per farlo.

Nel caso dello smart working, l’azienda deve sempre preoccuparsi che il dipendente lavori in sicurezza e fornire gli adeguati strumenti per svolgere il lavoro, ma l’organizzazione avviene in modo flessibile. Il dipendente di fatto può decidere di lavorare in sede, così come a casa o ancora al bar, in una casa vacanze o in hotel.

Inoltre, il telelavoro si basa su degli orari fissi, lo smart working punta sulla flessibilità e l’accountability, vale a dire la responsabilizzazione del lavoratore che, consapevole degli obiettivi da raggiungere, può gestire il suo tempo in autonomia. Sempre ovviamente tenendo in considerazione le esigenze dell’azienda e delle persone con cui collabora.

Come gestire lo smart working

Al di là delle linee guida, che ovviamente sono importantissime, bisogna introdurre nuove modalità di gestione delle attività così da poter permettere la flessibilità di orario.

Per scegliere le misure da proporre è necessario partire dalla valutazione delle esigenze della platea dei dipendenti. Sono elementi che si possono raccogliere attraverso focus group e questionari interni all’azienda, ma in ogni caso si può partire da alcune indicazioni di massima, dettate da alcuni elementi comuni e imprescindibili.

Inoltre, bisogna lavorare molto su due cose che possono determinare la buona riuscita dello working: il clima aziendale e la cultura aziendale.

Solo partendo dall’analisi dello stato attuale e capendo come migliorare il coinvolgimento dei dipendenti e allo stesso tempo focalizzandosi su ciò in cui l’azienda crede e come lo applica, si può creare un contesto di fiducia. Quel contesto che, come dicevamo, rende le persone accountable, ossia responsabili di ciò che fanno e pertanto intenzionate a farlo al meglio.