La soluzione buoni pasto è vantaggiosa per i datori di lavoro, siano essi persone giuridiche, come società, o persone fisiche, come liberi professionisti o imprenditori individuali: i costi sostenuti per l’acquisto dei buoni pasto sono deducibili ai fini delle imposte dirette e l’IVA, addebitata dalla società emettitrice, è interamente detraibile.
E i concetti di detraibilità e deducibilità sono punti di grande interesse in ambito fiscale. Ma cosa si intende con questi termini? Spesso si nota una grande confusione e siamo sicuri che molti commercialisti potrebbero confermarlo.
Ecco perché, visto che per i buoni pasto sono concetti molto importanti, cerchiamo di fare chiarezza e di capire in cosa consistono e come possono riguardare grandi aziende, PMI, ditte individuali e freelance.
Deducibilità e detraibilità dei buoni pasto
Quando parliamo di costo deducibile nell’ambito dell’imposizione diretta, facciamo riferimento a un onere sottratto dal reddito complessivo, determinando così la riduzione della base imponibile. Per questo, grazie alle deduzioni, si ottiene un reddito imponibile ridotto su cui si calcola l’imposta lorda (IRPEF O IRES).
La detraibilità IVA, invece, consiste nel diritto di un operatore, che riveste la qualifica di soggetto passivo d’imposta, di detrarre l’IVA a lui addebitata in rivalsa, cioè in relazione agli acquisti effettuati, dall’imposta dovuta sulle vendite, consentendo allo stesso di non rimanere inciso dell’imposta da esso pagata a fronte di operazioni imponibili effettuate.
I buoni pasto pertanto offrono un significativo vantaggio fiscale. Vediamo tutto ancora più in dettaglio.
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Buoni pasto per i titolari di partita IVA senza dipendenti
Iniziamo con i soggetti titolari di partita IVA, come lavoratori autonomi, liberi professionisti o imprenditori individuali, che acquistano buoni pasto per sé stessi.
Per tutti loro, i buoni pasto sono molto convenienti: oltre che una pratica soluzione per la pausa pranzo, sono infatti un ottimo strumento per semplificare e risparmiare la gestione delle spese.
I titolari di partita IVA senza dipendenti che acquistino i buoni pasto per fruire, attraverso gli stessi, di una prestazione di vitto, possono infatti dedurre, ai fini delle imposte dirette, fino al 75% dei costi per l’acquisto dei buoni medesimi (art. 54 comma 5, TUIR e art. 109, comma 5, TUIR), seppure tale deducibilità, per i titolati di reddito di lavoro autonomo, sia limitata a un importo non superiore al 2% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta.
L’IVA addebitata dalla società emettitrice dei buoni pasto con aliquota al 10% è, inoltre, detraibile dal titolare di partita IVA in misura integrale.
Ma non solo detrazioni e deduzioni: c’è il concreto vantaggio di presentare un’unica fattura per tutte le spese sostenute per il vitto. In che senso? Se hai una partita IVA e pranzi spesso fuori da solo o con i tuoi clienti e collaboratori, anziché richiedere fattura per ogni spesa fatta al ristorante, tavola calda o supermercato, ti basta conservare solo quella relativa all’acquisto di buoni pasto.
Questo aiuta sia nella gestione delle fatture che sono sempre tantissime, ma ti fa risparmiare anche tempo in cassa. Se si tratta infatti di un ristorante dove non sei mai andato, ti toccherà dare i tuoi dati per la fattura. Questo vale anche per importi minimi, come l’acquisto di un panino veloce in un bar.
Detraibilità e deducibilità con il regime forfettario
Da sapere: tutto questo non riguarda i contribuenti persone fisiche, titolari di partita IVA, sia lavoratori autonomi che imprenditori individuali, che accedono, sussistendone i presupposti, al regime fiscale agevolato introdotto dalla legge n. 190 del 2014, cosiddetto “regime forfettario” (art. 1, comma 54, legge n. 190 del 2014).
Nell’ambito di tale regime, il reddito è determinato in modo forfettario, ossia applicando il coefficiente di redditività, legato a un codice Ateco previsto per la specifica attività svolta, all’ammontare dei ricavi o compensi percepiti nel periodo d’imposta. Ciò significa che le spese eventualmente sostenute per l’acquisto dei buoni pasto non sarebbero deducibili analiticamente, essendo il loro ammontare predefinito nel coefficiente di redditività.
Buoni pasto per i titolari di partita IVA con dipendenti e collaboratori
Per il titolare di partita IVA, persona fisica (lavoratore autonomo, libero professionista, imprenditore individuale), o persona giuridica (società), che decida di attribuire i buoni pasto ai propri dipendenti, i vantaggi fiscali sono altrettanto convenienti.
Il costo sostenuto per l’acquisto dei buoni pasto è, infatti, integralmente deducibile al 100% ai fini delle imposte dirette (artt. 54, comma 1 e 95, comma 1, TUIR), a condizione, però, che i buoni pasto vengano erogati alla generalità o a categorie di dipendenti (come detto dalla Circ. n. 326/E/1997).
Le regole concernenti l’IVA rimangono invariate rispetto a quelle esposte sopra per i soggetti passivi senza dipendenti. L’IVA addebitata dalla Società emettitrice dei buoni pasto con aliquota al 4% è, difatti, interamente detraibile.
La normativa precedente (art. 19-bis1, lett. e), D.P.R. n. 633/1972) escludeva la possibilità per i datori di lavoro di detrarre l’IVA addebitata dai fornitori di servizi alberghieri e di ristorazione, inclusa quella addebitata dalla società emettitrice dei buoni pasto; tale assunto era stato confermo dall’Amministrazione finanziaria (Ris. n. 63/E/2005).
Nel 2008, l’art. 83 del decreto-legge 25 luglio 2008, n. 112, convertito con la legge 5 agosto 2008, n. 133 ha modificato la precedente normativa, eliminando l’indetraibilità dell’IVA addebitata per i servizi alberghieri e di ristorazione; oggi, quindi, i datori di lavoro possono detrarre l’IVA addebitata con aliquota del 4% dalla Società emettitrice i buoni pasto, ai sensi dell’art. 19, D.P.R. n. 633/1972.
La legge di bilancio 2020 ha previsto inoltre alcune modifiche in merito alle soglie di esenzione fiscale per i buoni pasto, aumentando la soglia di deducibilità dei buoni pasto digitali e diminuendo quella dei buoni pasto cartacei.
Oltre ai vantaggi fiscali per il datore di lavoro, il legislatore ha previsto un trattamento fiscale di favore anche per i dipendenti e i collaboratori che usano i buoni pasto.
In base a quanto previsto dall’art. 51, comma 2, lett. c), TUIR, i buoni pasto non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente o assimilato, fino all’importo complessivo giornaliero ivi previsto; inoltre, in virtù del principio dell’armonizzazione delle basi imponibili fiscale e previdenziale, i buoni pasto non concorrono alla determinazione della base imponibile contributiva (art. 12, L. n. 153/69).
Costituisce, peraltro, condizione necessaria per l’applicazione di tale regime di favore che i buoni pasto siano riconosciuti alla generalità o a categorie omogenee di lavoratori (cfr. Circ. n. 326/E/1997).
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Nel dettaglio:
- i buoni pasto digitali non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente (o assimilato) fino all’importo complessivo giornaliero di 8 euro (in luogo del precedente limite di 7 euro);
- i buoni pasto cartacei non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente (o assimilato) fino all’importo complessivo giornaliero di 4 euro (in luogo del precedente limite di 5,29 euro).
Com’è evidente, l’uso dei buoni pasto digitali comporta maggiori benefici non solo sotto il profilo fiscale; difatti, l’uso di essi è sempre più incentivato anche dallo Stato. Questo perché si va sempre più verso la digitalizzazione che per contrastare l’evasione fiscale.
Ma cosa succede se il datore di lavoro decide liberamente di erogare buoni pasto che hanno un valore facciale superiore alla soglia di esenzione fiscale? In quel caso, la quota eccedente concorre a formare reddito del lavoratore beneficiario di tale strumento (Ris. n. 26 del 2010 e Circ. n. 28 del 2016). Questa quota viene quindi computata nella base imponibile fiscale e previdenziale su cui il datore di lavoro deve operare le relative trattenute.
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