La funzione strategica degli enti bilaterali nelle politiche di welfare aziendale
Gli enti bilaterali sono definiti (art. 2, comma 1, lett. h del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276) come organismi paritetici, costituiti – come suggerisce l’appellativo stesso – su iniziativa di due parti. Vale a dire le associazioni dei datori di lavoro, da un lato, e le associazioni sindacali, dall’altro, purché comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
In particolare, l’istituzione di un ente bilaterale avviene in sede di contrattazione collettiva; in tale occasione, le associazioni datoriali e le associazioni sindacali firmatarie decidono di costituire, con un atto separato, l’ente bilaterale e affidare allo stesso l’adempimento di molteplici e variegate attività.
Analizzando la realtà degli ultimi anni, si sta sempre più affermando il ruolo dell’ente bilaterale quale sede privilegiata di confronto e di collaborazione tra le parti sociali in ambiti legati non solo alla creazione e al consolidamento dell’occupazione, ma anche al sostegno della retribuzione e allo sviluppo delle pratiche di welfare aziendale.
Natura e struttura dell’ente bilaterale
L’ente bilaterale è una struttura organizzata non profit, con sede stabile, che viene gestita pariteticamente dalle Parti sociali che la costituiscono.
La Legge non prevede una specifica forma che un ente bilaterale deve avere. Nel variegato ventaglio di modelli organizzativi in astratto applicabili, la scelta del modello da applicare nel caso concreto è sempre demandata alla libertà delle parti.
Data la finalità dell’ente bilaterale, la forma maggiormente adottata nella prassi comune per l’espletamento delle sue funzioni è quella dell’associazione, che può essere riconosciuta o meno.
Chi finanzia l’ente bilaterale
La principale entrata per l’ente bilaterale è costituita dai contributi versati dai propri iscritti. In particolare, l’obbligo di contribuzione in favore dell’ente bilaterale può essere del solo datore di lavoro oppure del datore di lavoro e dei lavoratori. L’ammontare della contribuzione e le modalità di riscossione sono stabiliti dalle Parti sociali in seno al contratto collettivo.
Come anticipato, quest’obbligo è legato al fatto di essere “iscritto” all’ente bilaterale. Ma quindi è obbligatorio aderire? Vediamolo nel prossimo paragrafo.
Enti bilaterali: è obbligatorio aderire?
Esiste un generalizzato obbligo di iscrizione – e di versamento dei relativi contributi – all’ente bilaterale? L’obbligatorietà dell’iscrizione all’ente bilaterale è stata una questione assai dibattuta, cui la prassi ha fornito una soluzione.
Il Ministero del Lavoro con la circolare n. 43/2010 ha chiarito che non sussiste un generalizzato obbligo di iscrizione del datore di lavoro all’ente bilaterale, ma deve essere, invece, garantita la facoltà di aderire o meno a un ente in esplicazione del principio costituzionale della libertà associativa.
Tale facoltà deve, peraltro, conciliarsi con il diritto del lavoratore di godere delle tutele predisposte dagli enti bilaterali. Queste ricadono nella parte economico-normativa del contratto collettivo applicato dal datore di lavoro e rappresentano un diritto contrattuale del singolo lavoratore che il primo è tenuto a garantire.
Ecco perché possiamo prospettare diverse ipotesi.
Il datore di lavoro che aderisce alle associazioni firmatarie del contratto collettivo applicato avrà l’obbligo contrattuale di aderire all’ente bilaterale di riferimento.
In forza di tale adesione, i dipendenti, qualificabili come “iscritti” all’ente bilaterale, hanno diritto di fruire delle prestazioni rese da quest’ultimo; graverà, peraltro, sul datore di lavoro aderente all’ente e sui lavoratori iscritti, l’obbligo di contribuire al finanziamento di quest’ultimo, provvedendo ai versamenti determinati dal contratto collettivo.
Se, invece, il datore di lavoro non aderisce alle associazioni firmatarie del contratto collettivo applicato, egli, nel rispetto del principio di libertà associativa, non ha l’obbligo contrattuale di aderire all’ente bilaterale di riferimento. Rimane tuttavia, obbligato a corrispondere ai lavoratori quelle prestazioni che, in base al contratto collettivo, rientrano nel trattamento economico-normativo da riservare agli stessi.
Per questo, il datore di lavoro può garantire direttamente tale diritto di natura economico-normativa, oppure può adempiere il proprio obbligo attraverso l’intermediazione dell’ente bilaterale. In questo secondo caso, sceglie volontariamente di aderire all’ente bilaterale istituito dal contratto collettivo, rendendo i propri dipendenti, identificabili come “iscritti” all’ente medesimo, beneficiari delle prestazioni erogate da quest’ultimo.
L’adesione volontaria del datore di lavoro e l’iscrizione dei lavoratori determinano, contestualmente, la nascita dell’obbligo di contribuzione in favore dell’ente bilaterale.
Quali sono le prestazioni erogate dall’ente bilaterale
Le parti sociali, in sede di contrattazione collettiva, decidono quali funzioni demandare all’ente bilaterale. Il quale può rappresentare, in primo luogo, la sede privilegiata per la regolazione del mercato del lavoro.
Tra i principali compiti assegnati all’ente bilaterale ci sono:
- la programmazione di attività formative;
- la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per la inclusione dei soggetti più svantaggiati;
- lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e sicurezza sul lavoro ecc.
Nel corso degli anni, all’ente bilaterale è stato, poi, demandato sempre più spesso il controllo della corretta applicazione dei contratti e la certificazione degli stessi.
Va da sé, dunque, che l’ente bilaterle svolge un ruolo centrale per le politiche di welfare. In particolare, se si guarda alle prestazioni degli enti bilaterali, ci sono per esempio prestazioni di natura sanitaria che vengono erogate anche per il tramite di fondi sanitari o assumendo l’ente medesimo le vesti di “fondo sanitario atipico”.
Più in generale, gli enti bilaterali sono solitamente preposti all’erogazione di prestazioni socio-assistenziali.
Di recente, durante l’emergenza scatenata dal Covid-19, gli enti bilaterali hanno fornito un prezioso supporto tramite aiuti economici a datori di lavoro e dipendenti in difficoltà. Lo sono stati i contributi straordinari a imprese e lavoratori dipendenti in una situazione di difficoltà economica determinata da situazioni eccezionali, come la crisi pandemica (anni 2020 e 2021), il rincaro dei prezzi per le materie prime dei prezzi generato anche dal conflitto ucraino.
Gli enti bilaterali rappresentano, quindi, i principali attori nell’erogazione di prestazioni di welfare contrattuale.
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Cosa si intende per welfare contrattuale?
Quando si parla di welfare contrattuale si intende tutte quelle prestazioni di welfare che le Parti sociali, firmatarie di un contratto collettivo, hanno inteso includere nel trattamento economico-normativo che il datore di lavoro è obbligato a riconoscere ai propri dipendenti in forza dell’utilizzazione del contratto medesimo.
Il contratto collettivo costituisce, dunque, la fonte di un vero e proprio obbligo, per i datori di lavoro che ne fanno applicazione, di introdurre le politiche di welfare contemplate dal contratto stesso.
L’adempimento di tale obbligo e, dunque, la concreta attuazione del welfare contrattuale è spesso demandata alla bilateralità. E questo perché gli enti bilaterli, per le prestazioni di cui abbiamo parlato prima, consentono che gli scopi di tutela e assistenza vengano soddisfatti in modo sicuro e omogeneo.
Chi sono i beneficiari delle prestazioni
Chi sono i destinatari delle prestazioni erogate dall’ente bilaterale? Sono esclusivamente i soggetti qualificabili come iscritti (imprese e lavoratori) allo stesso ente. È, infatti, l’iscrizione stessa a conferire il diritto di fruire dei vantaggi che promanano dall’azione degli enti bilaterali.
Il trattamento fiscale relativo all'ente bilaterale
C’è oggi incertezza sul trattamento fiscale da riservare alla bilateralità. Il riferimento è, per un verso, alle prestazioni erogate dall’ente bilaterale, e, per altro verso, ai contributi versati allo stesso dagli iscritti. In assenza di una specifica disciplina in materia, è la prassi a cercare di individuare i principi fiscali da applicare a tali fattispecie.
In base a un orientamento che appare consolidato (Risoluzione n. 24/2018 AdE; Risoluzione 54/2020 AdE), il trattamento fiscale delle prestazioni erogate dall’ente bilaterale segue i principi generali che disciplinano la tassazione dei redditi.
In altre parole, tali prestazioni risulteranno assoggettate a tassazione sempre che siano inquadrabili in una delle categorie reddituali previste dall’art. 6 TUIR. I benefit erogati dalla bilateralità dovranno essere riconducibili ai redditi fondiari, di capitale, di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, d’impresa o redditi diversi (art. 6, comma 1, TUIR), oppure dovranno dirsi conseguiti in sostituzione di redditi (art. 6, comma 2, TUIR).
Volendo fare riferimento a specifici casi analizzati dall’Amministrazione finanziaria, il bonus straordinario Covid-19 erogato da un ente bilaterali ai lavoratori dipendenti è stato considerato rilevante ai fini IRPEF (Risp. n. 492/2021).
Secondo l’Amministrazione, in mancanza di espresse deroghe ai principi generali di cui all’art. 6 TUIR, i contributi straordinari erogati dall’ente bilaterale per far fronte all’eccezionalità della crisi sanitaria ed economica che ha colpito i lavoratori dipendenti costituiscono somme sostitutive, ossia integrative, del reddito di lavoro dipendente, rilevanti ai fini IRPEF ai sensi dell’art. 6, comma 2, TUIR.
In un’altra occasione, l’Amministrazione finanziaria ha affermato che il contributo riconosciuto da un ente bilaterale ai propri iscritti che, a causa del contagio da Covid-19, fossero stati ricoverati in ospedale, in terapia intensiva e non, o fossero soggetti a quarantena o isolamento domiciliare obbligatorio, costituisce un’erogazione puramente assistenziale e non un’indennità sostitutiva di un reddito mancato, pertanto fiscalmente irrilevante (Risp. n. 395/2020)
Per quanto riguarda il trattamento fiscale da riservare ai contributi versati in favore degli enti bilaterali, l’Amministrazione finanziaria, in un primo intervento, ha concluso per la rilevanza fiscale, ai fini del reddito di lavoro dipendente, dei contributi versati agli enti medesimi (Risp. n. 24/2018).
Come affermato anche in due precedenti documenti di prassi (Circ. nn. 326/1997 e 55/1999), la contribuzione agli enti bilaterali non rientrerebbe in nessuna delle ipotesi di esenzione previste dall’art. 51, comma 2, TUIR, e, in particolare, nell’ipotesi prevista dalla lett. a), in quanto tali contributi non costituiscono contributi versati in ottemperanza a disposizioni di legge. È stata, dunque, affermata la tassazione della contribuzione per il lavoratore dipendente, secondo il principio di onnicomprensività del reddito (art. 51, comma 1, TUIR). Con un secondo intervento (Ris. n. 54/E/2020), invece, sono state fornite ulteriori precisazioni.
L’Amministrazione finanziaria ha rilevato una deroga al menzionato principio di onnicomprensività, al ricorrere di due condizioni:
- il datore di lavoro, gravato dall’obbligo – derivante dal contratto, accordo o regolamento aziendale recepito – di corrispondere ai propri dipendenti talune prestazioni assistenziali, sceglie di adempiervi tramite l’azione dell’ente bilaterale istituito dal medesimo contratto, accordo o regolamento e, a tal fine, provvede al versamento, nelle casse dell’ente, dei contributi, che rimangono a suo carico esclusivo;
- detti contributi non risultano riferibili alla posizione di ogni singolo dipendente e non è, di conseguenza, possibile rinvenire un collegamento diretto tra il versamento contributivo effettuato dal datore di lavoro e la posizione di ogni singolo prestatore.
Al ricorrere di questi due presupposti, secondo l’Amministrazione finanziaria i contributi versati all’ente bilaterale dal datore di lavoro non possono considerarsi una forma di arricchimento del lavoratore. Al contrario, infatti, tale versamento è qualificabile come ad esclusivo interesse della parte datoriale: quest’ultima, difatti, obbligata a fornire talune prestazioni assistenziali, sceglie di garantirsi una copertura economica tramite il finanziamento all’ente.
Pertanto, una forma di contribuzione così congegnata non può costituire una componente reddituale che concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente.
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