Buoni Pasto
12 Ott 2023
| 6'

La pausa pranzo è obbligatoria? Cosa sapere tra normativa, durata e modalità di fruirla

Quali vantaggi offrono i buoni pasto ai dipendenti? Perché sono più convenienti di altri valori che compaiono in busta paga? Scoprilo nell'articolo.
Autore
Cristina Maccarrone
pausa pranzo obbligatoria

Saltare la pausa pranzo, divorare un panino mentre si è davanti al computer, pensare di mangiare direttamente la sera sono alcuni dei modi più frequenti per saltare (o rimandare) un momento importantissimo nella vita di ogni lavoratore. Parliamo ovviamente della pausa pranzo, vale a dire quel lasso di tempo dedicato non solo alla consumazione di un pasto, ma anche a prendersi il giusto relax e staccare dalle varie incombenze. 

Che la pausa pranzo sia fondamentale per motivi psico-fisici è noto, ma forse non tutti sanno che in alcuni casi è “obbligatoria”. Ed è quanto cercheremo di approfondire in questo articolo, tentando di capire cosa stabilisce la normativa riguardo alla pausa pranzo, quale dovrebbe essere la sua durata e se si rientra nel computo del lavoro effettivo.

Quando la pausa pranzo è obbligatoria?

Secondo quanto previsto dall’art. 8 del D.Lgs. n.66/2003, inserito nel capo III (sezione dedicata a pause, riposi e ferie), “qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di 6 ore, il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa”. Chiunque, quindi, abbia una giornata lavorativa che superi il limite di ore stabilito dalla legge, non può rinunciare a una pausa “obbligatoria”, finalizzata al recupero delle energie psico-fisiche, all’attenuazione delle mansioni ripetitive e monotone fino all’eventuale consumazione del proprio pasto.

Lo stesso articolo prevede che le modalità e la durata della pausa, declinabile anche come “pausa pranzo”, siano definite dai contratti collettivi, di primo e di secondo livello.

Detto in altri termini, nessun lavoratore dovrebbe iniziare e concludere la propria giornata lavorativa che ecceda le 6 ore senza aver fatto una pausa o, nello specifico, una pausa pranzo. Non è possibile, quindi, lavorare per 7 o 8 ore di fila senza uno stacco.

La durata della pausa pranzo

E quanto deve durare la pausa pranzo? Il comma 2 dell’articolo citato stabilisce che, in mancanza di un contratto collettivo che regoli la pausa dei lavoratori, questa deve avere una durata non inferiore ai 10 minuti e una durata massima di 2 ore e deve essere concessa, anche sul luogo di lavoro stesso, tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero che superi, appunto, 6 ore. 

Se queste sono le indicazioni previste dalla normativa, possiamo dire che nella maggioranza dei casi, all’interno delle varie realtà aziendali e secondo le più comuni indicazioni dei contratti collettivi, la pausa pranzo ha una durata di circa un’ora.

Importante: durante il momento della pausa pranzo non deve essere richiesta nessuna prestazione al lavoratore.

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La pausa pranzo è retribuita?

Secondo quanto stabilito dall’art. 5 del Regio Decreto n.1955 del settembre 1923, dai successivi attivi applicativi e dall’art. 4 del Regio Decreto n. 1956 sempre del settembre 1923 e ribadito anche all’interno del già citato articolo 8 del D.Lgs. n. 66/2003, non sono considerati come lavoro effettivo:

  • i riposi intermedi, che siano presi sia all’interno che all’esterno dell’azienda;
  • il tempo impiegato per recarsi al posto di lavoro;
  • le soste di lavoro di durata non inferiore a 10 minuti e complessivamente non superiore 2 ore, comprese tra l’inizio e la fine di ogni periodo della giornata di lavoro, durante le quali non sia richiesta alcuna prestazione al dipendente. 

L’ultimo punto riguarda proprio la pausa “obbligatoria” e, nella specie, anche la pausa pranzo, alla quale il lavoratore che superi le 6 ore giornaliere di lavoro, non può rinunciare.
Pertanto, la pausa pranzo in Italia non è considerata come lavoro effettivo e non rientra nell’orario di lavoro retribuito. Questo a meno che i contratti collettivi non prevedano diversamente.

Ai sensi dell’art. 5 del Regio Decreto n.1955 del settembre 1923, sono, invece, considerate nel computo del lavoro effettivo e sono, quindi, retribuite quelle pause, anche di durata maggiore ai 15 minuti, che vengono concesse agli operai durante prestazioni di lavoro molto faticose. Pause che sono necessarie per metterli in condizioni fisiche di riprendere il lavoro successivamente.

Come anticipato, il lavoratore ha diritto a una pausa dall’esecuzione della prestazione lavorativa quando questa supera le 6 ore nell’ambito dell’orario di lavoro. Non può, quindi, rinunciare alla pausa e, nello specifico, alla pausa pranzo, se è così inquadrata dai contratti collettivi o dall’autonomia individuale del datore di lavoro.

La legge, peraltro, non stabilisce la precisa collocazione della pausa, che può essere goduta in qualsiasi momento della giornata. La determinazione del momento in cui usufruire della pausa è rimessa al datore di lavoro che la può individuare, tenuto conto delle esigenze tecniche dell’attività lavorativa, in qualsiasi momento della giornata lavorativa e non necessariamente successivamente al trascorrere delle 6 ore di lavoro. È possibile, ad esempio, l’eventuale “concentrazione” della pausa all’inizio o alla fine della giornata lavorativa, determinando in sostanza una sorta di riduzione dell’orario di lavoro (cfr. Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 8/2005).

I buoni pasto per la pausa pranzo

E i datori di lavoro in quale modo possono garantire al personale una pausa pranzo che sia davvero tale? A meno che non sia espressamente stabilito dal contratto collettivo di primo o secondo livello, i datori di lavoro possono decidere volontariamente se istituire una mensa e gestirla direttamente o affidarla a degli esterni, oppure garantire la somministrazione di un pasto ai propri dipendenti tramite buoni pasto o l’indennità di mensa

Non tutte le aziende, infatti, hanno gli spazi adatti per una mensa interna. Ecco perché una soluzione vantaggiosa, sia per i datori di lavoro sia per i dipendenti e i collaboratori, sono i buoni pasto, regolati dal dall’allegato II. 17 del d.lgs. n. 36 del 2023, in cui è confluito il precedente Decreto ministeriale n.122 del 2017. Questo Decreto stabilisce le caratteristiche dei buoni pasto, le loro funzioni, i soggetti legittimati a riceverli e i requisiti che devono avere sia le società di emissione di tali buoni, sia gli esercizi commerciali convenzionati presso cui utilizzarli.

Come previsto dall’art. 51, comma 2, lett. c), TUIR, così come modificato dalla Legge di Bilancio del 2020, il buono pasto non costituisce reddito di lavoro dipendente, fino all’importo complessivo per persona al giorno di:

Per i lavoratori i buoni pasto hanno diversi vantaggi: oltre al fatto di essere esentasse nei limiti appena indicati (al contrario dell’indennità di mensa, la cui esenzione è riservata a casi limitati e tassativamente previsti), sono uno strumento molto versatile che ben si adatta a una pausa pranzo dalle caratteristiche più svariate.

Si possono usare i buoni pasto, come per esempio Ticket Restaurant®, per consumare un pasto pronto in ristoranti, bar, tavole calde, pizzerie, fast food, ecc. oppure per fare la spesa al supermercato e nei discount. Così come i buoni pasto possono essere utilizzati per i pasti pronti o i prodotti alimentari in food truck, mercati alimentari, chioschi, ma anche agriturismi, spacci alimentari e molti altri punti. 

Per saperne di più, ti rimandiamo al nostro articolo su come e dove spendere i buoni pasto.

Inoltre, sono uno strumento per garantire una pausa pranzo salutare e un’attenzione maggiore verso abitudini alimentari equilibrate, tutti aspetti a cui i lavoratori sono sempre più interessati, come ha rivelato l’indagine FOOD 2022 (Fighting Obesity through Offer and Demand), condotta da Edenred per analizzare l’evoluzione della pausa pranzo. L’80% dei lavoratori intervistati si è, infatti, dichiarato più attento alla propria salute e alla propria alimentazione rispetto al passato, mentre l’83% si aspetta un’offerta sempre più sana.

Il diritto alla pausa pranzo permette alle persone di vivere meglio, influenzando positivamente il work-life balance. Un aspetto che ha, in generale, conseguenze positive anche sull’azienda.

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