I fringe benefit prima, durante e dopo la pandemia: perché oggi valorizzano le persone
I fringe benefit (“benefici accessori”) regolati dall’articolo 51, comma 3 del TUIR, non nascono per alimentare soluzioni di welfare nelle aziende. Il legislatore li ha previsti per sottrarre dal reddito di lavoro le piccole concessioni in natura, non monetarie, cedute dal datore di lavoro ai propri dipendenti, solitamente in occasione del Natale, altre festività o ricorrenze aziendali (ancora oggi, si usa consegnare ai lavoratori cesti natalizi con alimenti, vino ec…).
Nel corso degli anni la natura di questo strumento è molto cambiata, come è normale che sia essendo cambiate l’organizzazione del lavoro, la gestione del personale e le tradizioni sociali. Durante la pandemia si è completata questa evoluzione.
Dei fringe benefit – come sono per esempio i buoni acquisto Edenred Shopping – prima, durante e dopo la pandemia parliamo con Emmanuele Massagli, presidente AIWA (Associazione Italiana Welfare Aziendale), nata nel 2017, l’associazione di rappresentanza delle società che gestiscono con lavoratori e imprese i piani di welfare aziendale.
Emmanuele, dal 2008, anno in cui il piano welfare di Luxottica ha “lanciato” il “carrello della spesa” di valore contenuto nella soglia dei fringe benefit, questi hanno velocemente assunto una nuova funzione. Sono diventati infatti occasione di fidelizzazione del dipendente, nonché piccolo riconoscimento (legale) alternativo al “fuori busta”.
Da allora fino ad adesso il percorso è andato avanti: quali sono state le tappe principali?
“Nel 2017, c’è stata un’ulteriore progressione: il CCNL dei metalmeccanici, sfruttando una norma interpretativa approvata anche grazie ad AIWA nella legge di bilancio di quell’anno, ha introdotto l’obbligo di riconoscimento a tutti i lavoratori del settore di quelli che nel contratto collettivo vengono definiti “flexible benefit”. Improvvisamente, i servizi e i voucher organizzati in conformità al comma 3 dell’articolo 51 sono diventati la porta di ingresso al welfare aziendale per decine di migliaia di piccole imprese e oltre un milione di lavoratori”.
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E cosa è invece successo con la pandemia che ha stravolto tutto il mondo del lavoro, welfare compreso?
“C’è stato un’ultimo upgrade, anch’esso figlio di un’intuizione di AIWA, che è datato agosto 2020: il legislatore, accorgendosi che durante la pandemia i fringe benefit avevano assunto una vera e propria funzione sociale, ha deciso di raddoppiarne la soglia di esenzione, portandola a 516,46 euro. Questo per facilitare l’acquisto di tecnologia per la DAD, dispositivi di protezione individuale, prodotti di sanificazione per la casa.
Una misura apparentemente laterale per quel periodo, ma preziosa per milioni di lavoratori, migliaia di aziende e per lo Stato stesso, che ne ha ampiamente coperto il costo con la tassazione indiretta, il maggior lavoro generato e l’emersione del nero”.
La prova che la norma fosse effettivamente win (per i lavoratori in primis), win (per le imprese), win (per lo Stato) è venuta dal Legislatore stesso, che l’ha confermata anche per il 2021″.
Solo che nel 2022, come sappiamo, la soglia dei fringe benefit esentasse è tornata a essere 258,23 euro. Cosa ne pensa di questa decisione?
“Mi chiedo: dopo quasi quindici anni di continua evoluzione di questo strumento, che senso ha, oggi, tornare indietro? Perché non strutturare questa misura, invece che tornare alla soglia di 258,23 euro? È la domanda che imprese e lavoratori fanno alla politica e che ancora non ha ricevuto risposta. La speranza è che il legislatore si accorga di cosa sta succedendo. La crescita dei fringe benefit non è ostacolabile normativamente, perché oramai affermatisi come una moderna leva per la valorizzazione delle persone, che, seppure in forma diverse, osserviamo in tutte le economie evolute”.
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