Cultura aziendale
17 Mag 2023
| 8'

Come stereotipi e bias influiscono sulla parità di genere

Oggi le aziende devono confrontarsi con stereotipi e bias legati alla parità di genere: è importante che manager e dipartimenti HR prestino attenzione al fenomeno e ne valutino attentamente l’impatto, considerando anche l’avvento di soluzioni AI.
Autore
Redazione
bias e stereotipi

Anche le aziende più innovative, dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, oggi devono confrontarsi oggi con stereotipi e automatismi mentali legati alla parità di genere. Manager e dipartimenti delle risorse umane devono infatti prestare grande attenzione al fenomeno e valutarne attentamente l’impatto, anche in considerazione dell’esplosione di soluzioni che integrano tecnologie di Intelligenza Artificiale.

L’obiettivo prioritario è, quindi, quello di riuscire a riconoscere e superare questi automatismi: il welfare, attraverso l’adozione di misure e strumenti di valutazione delle politiche di genere, può diventare una grande arma in grado di favorire un cambiamento all’interno delle aziende.

Cosa si intende per stereotipi e bias

Con bias cognitivi si intendono quegli automatismi mentali da cui si generano delle credenze che portano a prendere decisioni in tempi rapidi. Si tratta, il più delle volte, di errori di giudizio che impattano, nella quotidianità, su scelte e comportamenti: si tende ad attribuire specifiche caratteristiche a categorie di persone, anche in assenza di conoscenze specifiche ma solo a partire dalla categoria di riferimento.

I gender bias, o bias di genere sono, quindi, idee preconcette, che si verificano in quanto non sono state considerate le differenze di genere.

 
 

Sul luogo di lavoro possono influire direttamente sui ruoli da ricoprire, influenzare la valutazione delle qualità e delle attitudini possedute e generare ambiti di azione privilegiati, legati all’appartenenza di un genere (solitamente quello femminile) piuttosto che all’altro. 

Oltre all’ovvio impatto etico/morale, questi bias influiscono direttamente sulla felicità in azienda e, quindi, sul benessere aziendale. 

Quali sono gli ambiti in cui ci sono più bias

Nonostante le qualifiche e l’esperienza adeguate, le donne incontrano ancora seri ostacoli nell’avanzamento di carriera. Le discriminazioni di genere esistono negli ambiti lavorativi all’interno dei processi di assunzione e in merito alla retribuzione, con le donne fortemente sottorappresentate nei ruoli dirigenziali e meno pagate per ricoprire i medesimi ruoli dei colleghi maschi. In ambito HR si può cambiare molto, a cominciare dal processo di selezione. 

Da uno studio condotto dall’Università di Standford è emerso che lo stesso identico profilo biografico-professionale da Venture Capitalist, valutato da due gruppi indipendenti di persone, riceveva giudizi sistematicamente differenti se veniva presentato come quello di una donna o di un uomo.
Nello specifico, seppur entrambi venissero valutati come “estremamente competenti”, alla donna, a differenza dell’uomo, sono stati attribuiti tratti di “eccesso di assertività”, “aggressività” ed “egoismo”, che la portavano ad essere ritenuta una persona “con cui non si sarebbe voluto collaborare e che non si avrebbe voluto assumere”.

Uno degli ambiti dove gli effetti dei bias inconsci sono più pervasivi e insidiosi nel determinare effetti discriminatori all’interno delle organizzazioni è quello della valutazione delle performance.

Una serie di studi recenti sulle modalità e sul linguaggio con cui i manager danno feedback ai propri collaboratori e alle proprie collaboratrici, per esempio, ha mostrato come ci siano una serie di differenze sistematiche tra uomini e donne.

Innanzitutto, sebbene lo chiedano con una frequenza analoga, le donne ricevono il 20% in meno di feedback rispetto agli uomini, soprattutto quando si tratta di conversazioni delicate o difficili.
Ma anche quando il feedback arriva, la formulazione e gli ambiti su cui insiste tendono ad essere sistematicamente diversi tra uomini e donne.

 
 

Il feedback rivolto alle persone di genere maschile è più focalizzato sul risultato di attività specifiche e orientato a suggerire azioni di miglioramento, mentre quello rivolto alle persone di genere femminile tende a contenere più frequentemente riferimenti a tratti di personalità, specie se negativi, e a ragionare in termini di performance passata.

Tuttavia, bisogna prestare attenzione a non confondere stereotipi e bias (a volte adottati anche dalle donne stesse) con gli atteggiamenti prettamente maschilistici di quei manager che agiscono in ottica personale e fuori dal contesto aziendale.

Una questione culturale che richiede tempo per evolvere

Secondo il Global Gender Gap Report 2022 stilato dal World Economic Forum, dovremo attendere almeno altre due generazioni, se non di più, prima che si concretizzi, almeno in occidente, la parità di genere. La pandemia ha allungato ulteriormente i tempi di raggiungimento di una cosiddetta parità a livello globale: si parla di oltre 132 anni contro i 99 stimati pre-pandemia. Si parla, inoltre, di ben 151 anni per colmare il divario di genere nella partecipazione economica e nelle opportunità.

Chi opera quotidianamente nell’ambiente delle Risorse Umane non può più esimersi dal dare assoluta importanza a tematiche come l’Equità di Genere (Gender Equity) che riguarda il benessere e la salute di tutti i dipendenti.

L’Intelligenza Artificiale ha pregiudizi?

I sistemi di Intelligenza Artificiale, di cui Chat GPT è solo l’ultimo interprete famoso, offrono una garanzia di imparzialità maggiore?
È quanto si è chiesta la giornalista britannica Caroline Criado Perez, autrice del saggio “Invisibili. Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano”.
Il risultato è per alcuni versi sorprendente: anche i sistemi di IA sono vittime di pregiudizi e bias di genere

Ma com’è possibile? Sono diverse le teorie che giustificano questo elemento.

La prima considera il fatto che gli algoritmi, che sono sostanzialmente applicazioni di formule matematiche, si basino puramente su dati ed è un dato di fatto che, pur essendo una cosa profondamente ingiusta, nel mondo reale non ci sia equità di genere sul lavoro. Per esempio, per definire il grado di affidabilità di un prestito o una linea di credito presso un istituto finanziario, una donna avrà una valutazione inferiore rispetto ad un uomo, a parità di elementi come la posizione lavorativa e il reddito percepito.

Secondo Caroline Criado Perez, invece, il motivo dipende principalmente dal fatto che anche gli algoritmi sono creazioni umane: vengono infatti ideati e progettati da esseri umani in possesso di un bagaglio di pregiudizi e stereotipi in larga parte inconsci. I programmatori che hanno ideato e implementato l’algoritmo, infatti, sono i primi a non essere consci del potenziale discriminatorio delle Intelligenze Artificiali.

A prescindere da quale sia la motivazione, il ricorso a soluzioni che integrino l’Intelligenza Artificiale non è garanzia di un approccio risolutivo ai bias di genere.

Come ridurre i bias: alcuni nudge per l’inclusione

Ma come è possibile gestire i gender bias in azienda? Oggi, una delle sfide per le organizzazioni riguarda proprio la riduzione dei gender bias sul lavoro.

I pregiudizi di genere si manifestano in ufficio, per esempio, nella pianificazione di attività, riunioni e colloqui in cui non si considera che donne e uomini, in base alla loro diversa posizione sociale, possono avere esigenze e interessi diversi.

Uno dei possibili strumenti che è possibile adottare, ad esempio, è l’attento utilizzo dei benefit aziendali, affinché non si crei alcuno squilibrio, ma si tenga conto delle diverse esigenze tra uomini e donne e, tantopiù in questo periodo di diffusione del lavoro agile, della loro presenza in ufficio.

Tra questi rientrano le misure pensate per gestire il work-life balance, come i buoni acquisto, l’introduzione degli asili nido nelle aziende, i servizi di baby-sitting per i figli più piccoli e quelli di assistenza per genitori anziani o familiari non autosufficienti; fino a tutti gli strumenti di valutazione del rispetto della parità di genere in azienda.

Un esempio sono i percorsi di assessment per valutare la situazione attuale delle imprese in merito alle politiche di gender equality adottate e prevedere, eventualmente, degli interventi, abilitare le aziende ad ottenere delle certificazioni e diffondere una corretta cultura di genere.

Partire dalla scuola per evitare i bias e le differenze di genere

Come abbiamo visto, un elemento che incide fortemente sulla discriminazione è quello culturale, legato a stereotipi e pregiudizi.
Per questo motivo, risulta evidente che il primo ambito in cui è necessario agire sia quello scolastico.

Esiste un evidente squilibrio nelle scelte educative di ragazze e ragazzi: le prime si aggiudicano il primato nelle discipline umanistiche e sociali, mentre l’area legata a discipline come la scienza, la tecnologia, l’ingegneria e la matematica (area STEM), che sono quelle più fiorenti in termini occupazionali, vede una netta maggioranza maschile.

Per colmare questo gender gap e incentivare la partecipazione delle ragazze nelle discipline STEM è necessario attivare un processo di consapevolezza che deve partire dalle istituzioni scolastiche, promuovendo una sensibilizzazione su questo tema.

Il nudge per l’inclusione

Nell’ambito delle strategie di cambiamento comportamentale che le società possono implementare per migliorare l’inclusività dei processi decisionali, in particolare a livello manageriale, occorre citare lo strumento dei nudge per l’inclusione.

Questo fa riferimento al concetto di nudge elaborato dal Premio Nobel per l’Economia 2017 Richard Thaler, che prevede “spinte gentili” in grado di dirigere i processi decisionali, e quindi i comportamenti, verso una direzione desiderata.

La parola “gentili” fa riferimento a due peculiarità degli interventi di nudging: la libertà di scelta e l’assenza di sanzioni.
Queste tipologie di interventi vengono ormai adottate in differenti campi che hanno l’obiettivo di influenzare il comportamento delle persone, come il marketing, il miglioramento della salute, le politiche pubbliche e la sostenibilità. La tecnica delle spinte gentili può portare ad un vero cambiamento comportamentale, ma la sua riuscita dipende da una corretta analisi del contesto in cui viene applicata.

Edenred per la parità di genere

Il welfare aziendale di Edenred, puntando per sua natura a far stare bene le persone, migliorare il clima aziendale e la qualità del lavoro, può essere utilizzato come strumento per evidenziare comportamenti virtuosi in tema di Gender Equity.

Edenred, in partnership con Idem, start-up universitaria, effettua un percorso di assessment sulla parità di genere, con l’obiettivo di verificare l’attuale situazione delle aziende, le quali, se superano positivamente l’analisi, possono ottenere l’attestato di Certificazione Idem®.

È stato dimostrato che utilizzare strumenti di valutazione delle politiche di Gender Equality permette alle aziende di ridurre il turnover e attrarre nuovi talenti, favorisce la crescita della reputazione aziendale, consente una maggiore competitività sul mercato e incrementa la possibilità di ottenere migliori punteggi nella partecipazione alle gare pubbliche.

Vuoi saperne di più sul welfare aziendale e sul suo ruolo per diminuire il gender gap?