Buoni Pasto
11 Lug 2023
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Buoni pasto e smart working: perché riconoscerli ai dipendenti

Una forma di welfare che può aiutare le famiglie e rilanciare l'economia del Paese. Ecco perché vanno riconosciuti anche in smart working.
Autore
Redazione
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Anche i lavoratori in smart working possono beneficiare dei buoni pasto e dei loro numerosi vantaggi. Nel corso degli ultimi 40 anni il buono pasto è diventato parte integrante del patrimonio sociale della pausa pranzo e ha acquisito una forte valenza socio-economica in grado di far evolvere gli stili alimentari e sostenere l’economia locale.

Ciò anche in un periodo storico in cui il susseguirsi dell’emergenza sanitaria e della crisi economica hanno rivoluzionato il mondo del lavoro, con l’affermazione, in particolare, dello smart working.

Apprezzato da datori di lavoro e lavoratori, fin dalle sue origini, ha portato benefici a tutti gli attori del sistema: ai datori di lavoro, che ottimizzano i costi di gestione di una mensa aziendale, ai dipendenti e alle loro famiglie, che hanno un sostegno al loro potere di acquisto, al territorio, attraverso un incentivo ai consumi.

Grazie alla sua flessibilità, il datore di lavoro può riconoscere gli innumerevoli vantaggi connessi ai buoni pasto a tutti i suoi dipendenti, inclusi i lavoratori in smart working.

Buoni pasto in smart working: chi ne ha diritto?

Ecco perché il buono pasto può essere considerato la prima forma di welfare: costituisce un benefit che consente ai datori di lavoro, soprattutto in un periodo di emergenza economica e di crisi inflazionistica, di sostenere concretamente i consumi e i bisogni primari dei dipendenti e dei familiari, anche attraverso i vantaggi fiscali e contributivi connessi a tali strumenti. 

I buoni pasto, sono, infatti, dei documenti di legittimazione (art. 2002 c.c.) che attribuiscono al titolare il diritto di fruire di una prestazione di vitto presso un fornitore convenzionato dalla società di emissione.

La prestazione oggetto del buono pasto può consistere nella somministrazione di alimenti e bevande o nella cessione di prodotti di gastronomia pronti per il consumo, e può essere fruita presso esercizi commerciali convenzionati (ristoranti, supermercati, etc.). Il loro utilizzo è, pertanto, molto versatile.

Per individuare i lavoratori che possono essere destinatari di questo importante benefit, occorre fare riferimento alla normativa che regola i buoni pasto, il Decreto Ministeriale 7 giugno 2017, n. 122.
L’art. 4 del Decreto stabilisce che il buono pasto può essere riconosciuto ai lavoratori titolari di un rapporto di lavoro subordinato, a tempo pieno o part-time, ma anche a coloro i quali hanno instaurato un rapporto di collaborazione, non necessariamente subordinato, con il soggetto che corrisponde i buoni pasto.

È fondamentale evidenziare che l’assegnazione dei buoni pasto è svincolata dalle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa e dall’articolazione dell’orario di lavoro (cfr. Risp. 132/2021). Non rileva, quindi, che il dipendente abbia un contratto che non preveda la pausa pranzo (per esempio: contratto di lavoro subordinato a tempo parziale); i buoni pasto, infatti, possono essere assegnati anche ai lavoratori per i quali non è prevista la pausa pranzo e possono essere spesi anche al di fuori di questo momento.

Allo stesso modo, non rileva se la prestazione lavorativa sia svolta in presenza o da remoto. In altre parole, la circostanza che l’assegnazione dei buoni pasto sia svincolata da specifici caratteri della prestazione lavorativa consente di includere tra i beneficiari dei buoni pasto anche gli smart worker.

Anche i lavoratori in smart working possono, quindi, godere dei vantaggi, anche di natura fiscale e contributiva, connessi ai buoni pasto.

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I vantaggi dei buoni pasto in smart working

È importante dunque il riconoscimento dei buoni pasto anche ai lavoratori in smart working

Questo, oltre ad assicurare a tutti i dipendenti la possibilità di consumare pasti completi ed equilibrati in pausa pranzo, senza vincoli di orario, di luogo o fruizione, consente al datore di lavoro di rispettare il principio di parità di trattamento economico e normativo tra i lavoratori in smart working e i lavoratori che eseguono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda (art. 20, l. n. 81/2017).

In quest’ottica, peraltro, è andato anche il Ministero del Lavoro che, il 7 dicembre 2021, ha raggiunto un accordo con le parti sociali per la creazione del primo “Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile” nel settore privato.

Tra i vari aspetti che sono stati definiti da questo protocollo ci sono la parità di trattamento e le pari opportunità tra chi svolge il suo lavoro in sede e chi in smart working.

La parità di trattamento, come specificato dall’articolo 9 del Protocollo, riguarda sia l’aspetto economico sia normativo. Pertanto, indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e, nello specifico, dal luogo presso il quale essa è eseguita, i dipendenti hanno diritto alle stesse forme di welfare aziendale e di benefit previste dalla contrattazione collettiva e dalla bilateralità. Tra questi rientrano, per l’appunto, i buoni pasto.

Come anticipato, tra i vantaggi che i lavoratori, inclusi quelli agili che possono scegliere di lavorare da casa , possono trarre dai buoni pasto, vi rientrano anche quelli fiscali e previdenziali

L’art. 51, comma 2, lett. c), TUIR prevede che i buoni pasto non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente o assimilato fino all’importo complessivo giornaliero di 4 euro, aumentato a 8 euro nel caso del buono pasto elettronico. Tale regime di parziale esenzione è applicabile, tuttavia, solo se i buoni pasto sono riconosciuti alla generalità o a categorie omogenee di lavoratori (cfr. Circ. Min. n. 326/E/1997).

Inoltre, entro i medesimi limiti, i buoni pasto non concorrono alla formazione della base imponibile previdenziale (art. 6, D.Lgs. n. 314/1997).

L’irrilevanza fiscale e previdenziale (fino alle soglie previste) dei buoni pasto li rende un’efficace soluzione per aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori, che possono utilizzarli, presso gli esercizi convenzionati, non solo per la pausa pranzo (per l’acquisto di pasti pronti per il consumo), ma anche per la spesa (per l’acquisto di prodotti alimentari) come previsto dall’art. 3, D.M. n. 122/2017.

Questo è vero se si considera che i buoni pasto sono utilizzabili fino a un limite di 8 giornalieri (art. 4, comma 1, D.M. n. 122/2017) e che tale limite di cumulabilità non incide sull’esenzione fiscale e contributiva dell’importo del buono pasto, salvo, ovviamente, che quest’ultimo superi i limiti previsti dall’art. 51, comma 2, lett. c), TUIR (cfr. Principio di diritto n. 6/2019).

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Un sostegno al lavoro ibrido e all’economia del Paese

Sempre più datori di lavoro del settore privato adottano un modello di lavoro misto, che prevede l’alternarsi di giorni di presenza in ufficio e giorni di smart working, in cui il buono pasto resta un diritto del lavoratore, se costituisce un elemento del trattamento economico e normativo da riservare allo stesso.

Questo benefit è un valido contributo per le famiglie e soddisfa il bisogno primario dell’alimentazione. Rappresenta, inoltre, uno stimolo ai consumi del settore alimentare; il lavoratore, infatti, è incentivato all’utilizzo dei buoni pasto e ad evitare la loro scadenza: una volta scaduti, il loro valore non sarebbe monetizzabile e, quindi, più fruibile.

In questo momento è, dunque, importante continuare ad aiutare l’economia del Paese, incentivando la spesa dei lavoratori e delle loro famiglie. Ma non solo. Attraverso il convenzionamento di fornitori locali e legati al territorio in cui le realtà aziendali operano, i buoni pasto riescono a indirizzare la spesa dei lavoratori verso gli attori economici locali, che maggiormente sono stati colpiti dalla crisi. L’uso dei buoni pasto è, dunque, un mezzo fondamentale per la ripartenza dell’economia, in particolare quella di prossimità.

Buoni pasto e smart working nella Pubblica Amministrazione

Se per i dipendenti del settore privato l’introduzione dello smart working non esclude la possibilità di ricevere i buoni pasto, per i dipendenti della Pubblica Amministrazione le nuove regole sono diverse.

Nel settore pubblico, infatti, il lavoro agile comporta la rinuncia a percepire i buoni pasto. La ragione dipende dal fatto che questa modalità di lavoro non è legata a vincoli di orario.

Da qui la scelta di molti dipendenti statali di non usufruire del lavoro agile per non perdere il buono pasto, un benefit ormai considerato parte della propria retribuzione e che rappresenta un valido sostegno economico per le spese quotidiane.

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