Gli aiuti in termini legislativi e di assistenza alle nuove famiglie riguardano prevalentemente le figure materne, ma i piani di welfare aziendale sono sempre più attenti anche a quelle paterne e alle coppie omogenitoriali, ovvero le famiglie composte da due genitori dello stesso sesso.
Negli ultimi tempi, a una rinnovata sensibilità da parte delle istituzioni si affianca sempre più spesso quella delle aziende che prevedono piani welfare dedicati anche ai padri e che prevedono congedi di paternità retribuiti più estesi di quelli previsti per legge.
Come dimostrato dai dati pubblicati dall’INPS nel XXII Rapporto Annuale di Settembre 2023, la percentuale di padri che usufruisce del congedo di paternità, prendendo a riferimento i lavoratori dipendenti del settore privato non agricolo, si è più che triplicata fra il 2013 e il 2022: nel 2013, meno di 1 padre su 5 ne ha usufruito (19,25%), mentre, nel 2022, sono stati più di 3 su 5 (64,02%), con poche differenze a seconda che si tratti di genitori del primo (65,88%), secondo o successivo figlio (62,08%).
In questo articolo vediamo cosa dice la norma sul congedo di paternità 2024, citando qualche esempio di welfare virtuoso.
Indice dei contenuti:
- Cos’è il congedo di paternità e come funziona
- Il congedo di paternità obbligatorio
- Il congedo di paternità alternativo
- Il congedo parentale
- A chi spetta il congedo di paternità
- Come richiedere il congedo di paternità
- Verso un'effettiva condivisione tra uomo e donna: cosa succede in Europa
- L’impatto del congedo di paternità sul luogo di lavoro
- Gli esempi virtuosi di aziende che pensano al welfare
- Il welfare aziendale per i papà
Cos’è il congedo di paternità e come funziona
I congedi di maternità e di paternità costituiscono dei periodi di astensione dal lavoro, concessi alle lavoratrici e ai lavoratori dipendenti per prendersi cura del proprio figlio nei suoi primi anni di vita.
Nel nostro ordinamento è da tempo riconosciuto il congedo di maternità, ovvero il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, di 5 mesi, concesso alle lavoratrici dipendenti durante la gravidanza e il puerperio (artt. 16 e ss., D.Lgs. n. 151/2001).
Analizziamo le tipologie di congedo previste per i lavoratori padri, oggetto di recenti modifiche a opera delle Leggi di Bilancio 2023 e 2024.
Il congedo facoltativo
Uno dei due genitori che lavorano può beneficiare di un’indennità pari al 30% della retribuzione mensile per un periodo massimo di 9 mesi entro i 12 anni di vita del proprio figlio. Il congedo vale anche se il bambino è adottato o in affido.
Per uno di questi mesi, inoltre, l’indennità è portata all’80%. Attenzione: un solo mese viene retribuito all’80% dello stipendio, per i restanti l’indennità è del 30% e solo entro i sei anni di vita del bambino.
La madre lavoratrice dipendente può usufruire di questa indennità (dopo i cinque mesi di “maternità obbligatoria”) ripartendola in 6 mesi, in modo continuativo o frazionato.
In alternativa il padre lavoratore può usufruire del congedo per altrettanti sei mesi che possono diventare sette in caso di astensione dal lavoro per un periodo continuativo.
L’utilizzo di parte del congedo facoltativo è “condiviso”: i nove mesi sono suddivisibili in questa maniera:
- per tre mesi alla madre
- per altri tre mesi al padre
- solo a uno dei due, i tre mesi restanti
Va sempre tenuto a mente che l’indennità di congedo parentale (sia quella obbligatoria, sia quella facoltativa) è incompatibile con l’attività lavorativa, pertanto vi è l’obbligo di astenersi dal lavoro.
Il congedo di paternità obbligatorio
Ai padri lavoratori dipendenti è riconosciuto, anzitutto, il congedo di paternità obbligatorio (art. 27-bis, D.Lgs. n. 151/2001, introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 105/2022).
Cos’è? Si tratta di un periodo di astensione obbligatorio dal lavoro di 10 giorni lavorativi (20 in caso di parto plurimo), nell’arco temporale che va dai 2 mesi precedenti la data presunta del parto fino a cinque mesi dalla nascita, o dall’ingresso in famiglia in caso di adozioni.
Durante il congedo obbligatorio, il padre ha diritto a un’indennità giornaliera a carico INPS pari al 100% della sua retribuzione.
Il congedo di paternità alternativo
A questo congedo obbligatorio, è stato affiancato, poi, il congedo di paternità alternativo (art. 28, D.Lgs. n. 151/2001).
In cosa consiste? Nel diritto del padre lavoratore di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla madre lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre o di abbandono, oppure, ancora, laddove la madre sia una lavoratrice autonoma o non sia lavoratrice.
Durante il congedo alternativo, il padre ha diritto a un’indennità giornaliera a carico dell’INPS pari all’80% della retribuzione media globale giornaliera.
Il congedo parentale
È previsto, poi, il congedo parentale, ossia un periodo di astensione facoltativa dal lavoro riconosciuto a entrambi i genitori nei primi 12 anni di vita del bambino, in aggiunta al periodo di astensione obbligatoria (art. 32, D.Lgs. n. 151/2001).
Per ogni figlio, il congedo parentale dei lavoratori dipendenti spetta per un periodo complessivo, condiviso tra i due genitori, non superiore a 10 mesi, elevabili a 11 se il padre lavoratore si astiene dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato di almeno 3 mesi.
In particolare, il diritto di astenersi dal lavoro spetta:
- alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo obbligatorio di maternità per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi;
- al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso in cui si astenga per un periodo intero o frazionato non inferiore a 3 mesi;
- a entrambi i genitori, che possono fruire complessivamente massimo di 10 mesi di congedo parentale, elevabili a 11 mesi nel caso in cui il padre si astenga per un periodo intero o frazionato non inferiore a 3 mesi.
Con riferimento ai periodi indennizzabili (art. 34, D.Lgs. n. 151/2001):
- alla madre, fino al dodicesimo anno di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) spetta un periodo indennizzabile di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore;
- al padre, fino al dodicesimo anno di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) spetta un periodo indennizzabile di 3 mesi, non trasferibili all’altro genitore;
- entrambi i genitori hanno diritto anche a un ulteriore periodo indennizzabile della durata complessiva di 3 mesi, fruibile anche in modalità ripartita tra i genitori, nei limiti individuali del singolo genitore e nel limite di coppia di 9 mesi indennizzabili;
sono indennizzabili anche il decimo e l’undicesimo mese nel caso in cui il reddito personale del richiedente il congedo sia inferiore a 2,5 volte la pensione minima.
Per quanto riguarda il trattamento economico da riservare a questo periodo di congedo, la Legge di bilancio 2024 (art. 1, comma 179, l. n. 213/2023) ha confermato ed esteso le modifiche apportate dalla Legge di bilancio 2023.
Dopo che la Legge di bilancio 2023 (art. 1, comma 359, l. n. 197/2022) aveva disposto l’aumento di una mensilità, in riferimento ai tre mesi non trasferibili di congedo, nella misura dell’80% della retribuzione, fruibile, in alternativa tra i genitori, fino al sesto anno di vita del bambino, la Legge di bilancio 2024 ha ulteriormente modificato la normativa in materia.
È, infatti stata prevista l’elevazione, dal 30% al 60% della retribuzione, dell’indennità di congedo parentale per un’ulteriore mensilità (sempre in alternativa tra i genitori e fino al sesto anno di vita del bambino). Per il solo anno 2024, l’indennità per entrambe le mensilità è stata riconosciuta nella misura dell’80%.
Conseguentemente, entro i limiti massimi di entrambi i genitori, il congedo parentale risulta indennizzabile nella seguente modalità:
- un mese è indennizzato all’80% della retribuzione, entro i 6 anni di vita o entro 6 anni dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o di affidamento del minore;
- un ulteriore mese è indennizzato al 60% della retribuzione (80% per il solo anno 2024), entro i 6 anni di vita o entro 6 anni dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o di affidamento del minore;
- sette mesi sono indennizzati al 30%, a prescindere dalla situazione reddituale;
il decimo e l’eventuale undicesimo mese possono essere indennizzati solamente se il reddito del richiedente è 2,5 volte inferiore all’importo annuo del trattamento minimo di pensione.
Va sempre tenuto a mente che l’indennità di congedo parentale (sia quella obbligatoria, sia quella facoltativa) è incompatibile con l’attività lavorativa, pertanto, vi è l’obbligo di astenersi dal lavoro.
A chi spetta il congedo di paternità
Il congedo di paternità obbligatorio e alternativo, nonché il congedo parentale, sono destinati ai padri lavoratori titolari di un rapporto di lavoro dipendente, privato o pubblico, anche in caso di adozione e affidamento.
Ai lavoratori autonomi e ai professionisti è destinato, invece, durante il periodo di tutela della maternità/paternità, un’indennità economica pagata direttamente dall’INPS. Come previsto dagli artt. 66 e ss. D.Lgs. n. 151/2001, l’indennità è riconosciuta 2 mesi prima del parto e per i 3 mesi successivi.
L’indennità genitoriale per le lavoratrici e i lavoratori autonomi è destinata a una delle seguenti gestioni previdenziali: artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni, mezzadri, imprenditori agricoli professionali; nonché ai pescatori autonomi della piccola pesca marittima e delle acque interne, iscritti alla gestione INPS di riferimento.
L’indennità di maternità spetta, inoltre, alle libere professioniste la cui previdenza non è gestita direttamente dall’INPS ma da alcune specifiche Casse previdenziali di appartenenza come quelle dei notai, farmacisti, geometri, sportivi, commercialisti, architetti e altre ancora.
L’indennità è riconosciuta ai lavoratori padri, iscritti alle medesime gestioni previdenziali, quando si verificano eventi che riguardano la madre, ossia morte o grave infermità, abbandono del figlio o mancato riconoscimento del neonato da parte della madre, oppure, ancora, affidamento esclusivo del figlio al padre.
Durante i periodi indennizzabili a titolo di maternità (o paternità), la lavoratrice o il lavoratore ha diritto a percepire un’indennità pari all’80% della retribuzione giornaliera stabilita annualmente dalla legge per il tipo di attività svolta.
A differenza dei congedi previsti per i dipendenti, per gli autonomi non sussiste alcun obbligo di astensione dal lavoro nei periodi indennizzati a titolo di indennità di maternità/paternità. Pertanto, la lavoratrice o il lavoratore ha la possibilità di continuare a svolgere la sua attività anche durante il periodo di maternità.
Inoltre, dal 2022 (D.Lgs. n. 105/2022), l’art. 69, D.Lgs. n. 151/2001, che prevede la disciplina dei congedi parentali per i lavoratori autonomi, riconosce il diritto al congedo parentale anche ai padri lavoratori autonomi.
Questi ultimi, come le madri, hanno il diritto a 3 mesi di congedo parentale, da fruire entro il primo anno di vita (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) del bambino. L’indennità riconosciuta è pari al 30% della retribuzione convenzionale giornaliera stabilita annualmente dalla legge a seconda della categoria di appartenenza e sarà subordinata all’effettiva astensione dall’attività lavorativa.
Come richiedere il congedo di paternità
In caso di anticipo dell’indennità in busta paga dal datore di lavoro, il padre lavoratore dipendente è tenuto a comunicare all’azienda i giorni in cui fruire del congedo obbligatorio o facoltativo (Circ. INPS n. 122/2022) o del congedo parentale (Circ. INPS n. 45/2023).
La comunicazione deve essere fatta con un anticipo non inferiore a 5 giorni, ove possibile in relazione all’evento nascita, sulla base della data presunta del parto, salvo che la contrattazione collettiva non preveda condizioni di miglior favore.
La comunicazione al datore di lavoro dev’essere fatta in forma scritta o, ove presente, a mezzo del sistema informativo aziendale, utilizzato per la richiesta e la gestione delle assenze.
Se il congedo si colloca nei 2 mesi antecedenti la data presunta del parto, il lavoratore deve prendere a riferimento quest’ultima data per la comunicazione al datore di lavoro. In caso di pagamento diretto da parte dell’INPS, il lavoratore presenta apposita domanda telematica collegandosi all’apposita sezione del sito dell’Istituto e accedendo mediante le credenziali Spid, Cie o Cns.
In alternativa alla richiesta online è possibile chiamare il Contact center dell’Istituto o avvalersi dei servizi offerti da enti di patronato ed intermediari Inps.
Verso un'effettiva condivisione tra uomo e donna: cosa succede in Europa
Dal punto di vista professionale, l’effettiva condivisione dell’arrivo di un nascituro tra le figure della madre e del padre è un processo culturale che richiede ancora tempo.
Una grande spinta in questo senso arriva dall’Unione Europea.
Sono infatti diverse le disposizioni a livello europeo emanate con l’obiettivo di facilitare la conciliazione vita-lavoro, nell’ottica di promuovere la parità di genere, la partecipazione delle donne alla vita lavorativa e l’equa ripartizione degli incarichi tra uomo e donna, sia in ambito familiare sia in quello lavorativo.
La media europea dei congedi parentali è di 22 settimane per le donne e 2,2 settimane per gli uomini, con esempi virtuosi come la Spagna, che ha recentemente portato il congedo a 16 settimane, pagato al 100%, e valido sia per le madri, che per i padri.
In Portogallo, la legge non prevede differenza tra congedo di maternità o paternità: entrambi i genitori possono decidere se astenersi dal lavoro per 120 giorni (con retribuzione pari al 100% dello stipendio) o per 150 giorni (con retribuzione pari all’80% dello stipendio).
Anche i Paesi nordici sono da sempre all’avanguardia per tutto ciò che concerne il sostegno alla famiglia e più in generale all’equilibrio tra tempi di vita e di lavoro: in Norvegia, ad esempio, i genitori godono complessivamente di 49 settimane di congedo non obbligatorio, retribuite al 100%, di cui di 3 settimane di astensione dal lavoro spettano alla donna prima del parto, 15 settimane non trasferibili spettano alla madre dopo il parto, 15 settimane al padre e 16 da condividere.
In Germania, invece, sono previsti 12 mesi di congedo parentale, che diventano 14 se lo chiede anche il padre. I genitori possono usufruirne fino a 3 anni di vita del bambino. Nel corso del primo anno la retribuzione sarà del 67% dello stipendio, del 65% per gli stipendi che superano i 1.200 euro al mese, poi si abbassa.
La Polonia, dal 2023, prevede per le madri un congedo di maternità di 20 settimane, retribuite al 100%, da utilizzare dopo il parto, di cui 14 obbligatorie; si prevede, poi, un congedo parentale di 41 settimane, retribuite al 70%, da utilizzare entro i 6 anni di età del figlio, di cui 9 settimane riservate a ciascun genitore, non trasferibili. Inoltre, al padre spettano due settimane di congedo di paternità retribuite al 100%, da utilizzare entro il primo anno di età del figlio.
Nel nostro Paese siamo ancora distanti da questi numeri, anche se i recenti aggiornamenti alle norme che regolano le indennità sono stati inseriti per cercare di far sì che il congedo sia usufruito effettivamente da entrambi i genitori, interrompendo la consuetudine che vede la donna come sua principale beneficiaria.
Va considerato, infatti, che nel 2022 i richiedenti dei congedi parentali sono stati donne, nel 77,9% dei casi, a fronte del 22,1% degli uomini, dato in crescita rispetto al passato recente (18,8% nel 2017, dati INPS).
L’impatto del congedo di paternità sul luogo di lavoro
Il congedo di paternità è diventato sempre più un argomento centrale nel dibattito sulle politiche familiari e sta emergendo come uno strumento cruciale nel migliorare il work-life balance e promuovere il benessere dei lavoratori.
Offre ai padri l’opportunità di essere più coinvolti nella cura dei propri figli fin dai primi giorni di vita. Questo può contribuire a una migliore equità nella distribuzione dei compiti di cura tra i genitori: se i padri hanno la possibilità di occuparsi della crescita dei figli, si riduce l’aggravio sulle madri e si riesce, al contempo, a promuove una maggiore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro.
Il congedo di paternità promuove, inoltre, l’equilibrio vita-lavoro: i padri lavoratori sono in grado di dedicare tempo alla famiglia senza preoccupazioni, riducendo lo stress associato a dover bilanciare le esigenze della famiglia con gli obblighi professionali.
Gli esempi virtuosi di aziende che pensano al welfare
Senza raggiungere i casi “eccezionali” di aziende come Salesforce, LinkedIn, Oracle, Netflix e Microsoft, che puntano ai risultati e concedono ai propri dipendenti totale discrezionalità sull’astensione dal lavoro per esigenze familiari, diverse imprese si rivelano sensibili all’argomento.
Il che significa che propongono autonomamente soluzioni che vengono incontro alle necessità dei dipendenti, nella consapevolezza che tali azioni possano portare vantaggi diretti e indiretti sia all’azienda sia ai lavoratori.
Le aziende che non fanno distinzioni
L’azienda italiana Zeta Service, specializzata in gestioni paghe e servizi dedicati alle risorse umane, è stata tra le prime nel nostro Paese a introdurre il congedo parentale per le coppie omogenitoriali, ovvero famiglie composte da due genitori dello stesso sesso. L’azienda amplia di propria iniziativa il godimento dei diritti per questa tipologia di famiglie riconoscendo 40 giorni di congedo genitoriale e andando di fatto a colmare un vuoto normativo presente nella nostra legislazione che attualmente non riconosce alcun congedo alle coppie di questo tipo.
Anche Zurich Italia, a partire dal 1° gennaio 2020, ha esteso il congedo di 16 settimane retribuite a tutti i genitori, senza distinzione di genere e orientamento sessuale. Inoltre, il secondo genitore può usufruire di un congedo retribuito di 6 settimane da utilizzare dopo la nascita, l’affido o l‘adozione del bambino.
La multinazionale svizzera Nestlé crede nella genitorialità condivisa e nel gender balance: l’azienda investirà oltre 1 milione di euro l’anno per estendere a 3 mesi il congedo paternità dei propri dipendenti, rendendolo fruibile indistintamente dal papà lavoratore o dal secondo caregiver, in occasione della nascita di un figlio o dell’adozione di un minore.
A partire dal 1° gennaio 2024, i nuovi genitori che lavorano nel Gruppo Barilla hanno
diritto a 12 settimane di congedo retribuito al 100%. Questa iniziativa tiene conto delle
leggi locali; quindi, nei Paesi in cui il periodo di congedo parentale è uguale o superiore a
12 settimane, si applicheranno le normative locali. Tuttavia, in situazioni, come quella in
Italia, dove le nuove madri già beneficiano di 12 settimane di congedo, mentre i padri
hanno solo 10 giorni, verranno riconosciute 10 settimane e mezzo di congedo retribuito
in più ai padri.
Il welfare aziendale per i papà
Oltre al congedo parentale, sono diverse le possibili iniziative in ambito welfare dedicate ai padri, che consentono di migliorare il bilanciamento lavoro-famiglia. Ma quali sono le misure più diffuse nelle aziende per il sostegno alla genitorialità?
Una soluzione proposta dalle imprese è la predisposizione di asili nido all’interno delle sedi aziendali, dove i dipendenti possono lasciare i propri bambini durante l’orario di lavoro.
A questi, si uniscono i voucher welfare per baby sitter, la possibilità di ricevere i buoni pasto durante la maternità, fino agli interventi di coaching e supporto per il rientro a lavoro dei neo-genitori.
Questi esempi sono rappresentativi di come le aziende possano intervenire in maniera importante sull’equilibrio tra vita privata e vita lavorativa, introducendo anche piani di welfare aziendale con una serie di misure che offrono sostegno e flessibilità per la cura dei propri familiari.
Non si tratta solo di interventi che offrono un supporto concreto ai lavoratori e alle lavoratrici ma di politiche che rappresentano vere e proprie forme di investimento per le aziende. Basti pensare al fatto che, nel momento in cui un individuo si trova costretto a scegliere tra la famiglia e il lavoro, la rinuncia a quest’ultimo per l’azienda si traduce nella perdita di una persona con esperienza e, allo stesso tempo, nella necessità di investire risorse economiche per formare una nuova figura.
In conclusione, è evidente come nel nostro Paese si stia assistendo a un cambiamento culturale significativo riguardo al ruolo dei padri nella cura dei figli: è ormai diffusa la consapevolezza di quanto sia importante il coinvolgimento attivo dei padri nella vita familiare. I padri stanno assumendo un ruolo più attivo e partecipativo nella cura dei figli, sfidando i tradizionali ruoli di genere e ridefinendo le dinamiche familiari.
Per continuare a promuovere questa evoluzione sociale, è essenziale che le politiche aziendali possano essere inclusive e favorevoli alla paternità attiva. Politiche, come il congedo di paternità, possono aiutare i padri a conciliare le responsabilità familiari con quelle lavorative.
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