Welfare aziendale
19 Set 2022
| 8'

Quanto costa un dipendente all’azienda?

Quali sono i fattori che incidono sui costi di un dipendente? E cosa un datore di lavoro può fare per abbatterli? Le risposte nel nostro articolo.
Autore
Redazione
quanto costa un dipendente all'azienda

Quanto costa un dipendente a un’azienda? È una domanda che ci si pone spesso anche considerando che il costo di un dipendente deriva da molti fattori e le voci che lo compongono sono diverse.
Nella categoria “costi dei dipendenti” non è presente infatti solo la retribuzione stabilita dal contratto collettivo nazionale o accordata al dipendente, ma ci sono anche altri costi come, per esempio, i contributi previdenziali e assicurativi, la quota di tredicesima e l’eventuale quattordicesima, la quota di TFR da accantonare.

Inoltre, esistono altri elementi che si danno per scontati, ma che, per te datore di lavoro, rappresentano un costo. Come gli strumenti utilizzati per svolgere la prestazione lavorativa (per fare qualche esempio: i computer, la carta, i macchinari, la scrivania, la sedia, ecc.).

Quanto costa un dipendente all’azienda: gli elementi da considerare

Quindi, quanto costa in realtà un dipendente all’azienda? Gli elementi da considerare sono diversi. Ecco quali sono:

  • RAL;
  • TFR;
  • contributi previdenziali;
  • tredicesima e quattordicesima mensilità

Vedremo poi come il welfare aziendale, con flexible benefit e fringe benefit, può contribuire ad abbattere i costi e anche qual è il ruolo della formazione in tutto questo.

Iniziamo intanto con capire quali sono le voci da considerare quando si assume una persona. 

RAL ovvero la retribuzione annua lorda

Una delle voci di maggior rilievo è la cosiddetta RAL, acronimo che sta per retribuzione annua lorda, che in busta paga viene segnata spesso come il totale delle competenze.

La RAL comprende tutti gli emolumenti dovuti al dipendente per la prestazione della sua opera lavorativa. Attività che varia a seconda del contratto nazionale di lavoro e del livello d’inquadramento del lavoratore. Sostanzialmente, più questo livello è alto e più questa cifra sarà alta.

Come si calcola la RAL? Operativamente si calcola moltiplicando la retribuzione lorda mensile per il numero di mensilità che spettano al lavoratore.

 
 

Da sapere: il rapporto non va moltiplicato per le sole dodici mensilità, c’è da considerare anche la tredicesima e l’eventuale quattordicesima.

Come si calcola la RAL: un esempio pratico

Facciamo un esempio pratico di calcolo della RAL. Se un dipendente ha una retribuzione lorda mensile di 3.000 euro, la sua retribuzione lorda annua sarà di:

39.000 euro se ha 13 mensilità all’anno (3.000 x 13); 42.000 euro se ha 14 mensilità all’anno (3.000 x 14).

A ogni modo, la RAL complessiva comprende anche i contributi previdenziali e assicurativi, cioè la cifra da pagare ogni mese all’Inps e all’Inail, e le trattenute IRPEF.

La retribuzione lorda, quindi, meno le trattenute citate costituisce la retribuzione netta che il lavoratore si vedrà accreditare sul conto corrente.

TFR ovvero il trattamento di fine rapporto

Oltre alla retribuzione lorda annua, c’è anche la quota di trattamento di fine rapporto da accantonare: il cosiddetto TFR.

Ma cos’è il trattamento di fine rapporto? Si tratta della somma che, come datore di lavoro, dovrai elargire al dipendente nel momento in cui il rapporto di lavoro cesserà per cause imputabili a dimissioni, licenziamento o accordo consensuale.

Analiticamente, il calcolo viene effettuato facendo la somma, per ogni anno di servizio del lavoratore, della retribuzione utile divisa per 13,5.

Da sapere: la quota di TFR è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni.

 
 

Nei rapporti di lavoro duraturi nel tempo, per evitare che le quote di Tfr perdano di valore d’acquisto, è prevista la rivalutazione applicando un tasso costituito dal 1,50% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi di consumo rilevato dall’Istat, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.

Contributi previdenziali

Per quanto riguarda i contributi previdenziali, c’è da dire che questi ultimi sono pagati in parte dal dipendente, tramite trattenuta in busta paga, e in parte dal datore di lavoro.

Di norma gli oneri previdenziali e assicurativi a carico del datore di lavoro ammontano orientativamente al 31% della RAL.

 
 

La quota parte, che è a carico del datore di lavoro, non è inclusa nella retribuzione annua lorda e non è visibile in busta paga, ma deve essere tenuta in considerazione per calcolare il costo aziendale di un dipendente.

Facendo un esempio pratico, se un dipendente ha una retribuzione lorda mensile di 30.000 euro, l’azienda quanti contributi previdenziali e assicurativi dovrà versare?

Come detto, prendendo la percentuale del 31% a carico del datore di lavoro, si verseranno 9.300 euro di contributi previdenziali e assicurativi.

Tredicesima mensilità e quattordicesima mensilità

La tredicesima e la quattordicesima mensilità sono sicuramente un’altra “variabile” da prendere in considerazione quando si vuole capire quanto costa un dipendente.

Oltre alle dodici mensilità, infatti, ci sono anche la tredicesima – che coincide con il periodo natalizio – e la quattordicesima – che coincide con il periodo estivo – cioè le mensilità aggiuntive da versare al lavoratore.

Da sapere: la tredicesima è obbligatoria per legge, mentre la quattordicesima va pagata se lo prevede il CCNL della specifica categoria.

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Calcolo del costo del dipendente in base a RAL, contributi e TFR

A questo punto, avendo analizzato queste 3 variabili principali, possiamo desumere una simulazione del  costo di un dipendente lato azienda:

  • retribuzione annua lorda: lordo mensile per 13 o 14 mensilità a seconda del contratto nazionale di categoria 🡪 esempio 3.000 euro mensili moltiplicati per 14 mensilità = 42.000 euro;
  • contributi previdenziali e assistenziali 🡪 il 31% della retribuzione annua lorda. Quindi, in questo caso, 13.020 euro in più;
  • quota di Tfr 🡪 retribuzione annua lorda divisa per 13,5. Significa, in questo caso, altri 3.111 euro.

Infine, sulla base di queste 3 variabili, il totale del costo dipendente sarà dato dalla somma di questi valori, ovvero: 42.000 + 13.020 + 3.111 = 58.131 euro annui (a cui vanno aggiunti i vari costi collegati al lavoro).

Come ridurre i costi del personale

Se è chiaro quanto costa un dipendente all’azienda, come invece abbattere questi costi?

La risposta può venire da due strumenti utili: il welfare aziendale e la formazione. Vediamo in che modo.

I vantaggi del welfare aziendale: flexible benefit e fringe benefit

Il welfare aziendale è l’insieme delle iniziative messe a disposizione dalle aziende per migliorare la conciliazione tra vita privata e lavoro (work-life balance) dei dipendenti, premiare il loro impegno e in generale per migliorare il benessere aziendale. Rappresenta inoltre uno degli strumenti maggiormente conosciuti per ridurre il costo del lavoro.

Possiamo, quindi, definire il welfare aziendale come quella retribuzione complementare che va ad aggiungersi al compenso in denaro.

In pratica, sono erogazioni da parte dell’azienda di beni e servizi,  che rappresentano un’integrazione in natura della retribuzione.

Tra i vantaggi del welfare, c’è la possibilità di portare in deduzione l’acquisto di questi beni, abbassando così l’imponibile del reddito di impresa.

Partiamo facendo una distinzione tra flexible e fringe benefit:

  • i fringe benefit sono considerati come una remunerazione accessoria rispetto alla  retribuzione ordinaria (per esempio l’auto aziendale), che per non concorrere alla formazione del reddito devono essere erogati entro il limite di 258,23 euro. In caso contrario l’intero valore verrà tassato;
  • i flexible benefit sono, invece, considerati come una retribuzione complementare, non sanciti dal contratto individuale ma da una libera scelta aziendale, o derivano da contrattazione collettiva.

Offrire benefit aziendali ai propri dipendenti rappresenta un importante vantaggio per il datore di lavoro perché consente di:

  • ridurre il turnover e attirare nuovi talenti;
  • aumentare la produttività della propria impresa;
  • ammortizzare la spesa sostenuta per l’erogazione dei benefit attraverso le agevolazioni fiscali.
 
 

I vantaggi per i dipendenti non sono rappresentati solo dai benefit in sé. Grazie a questi infatti, un lavoratore può migliorare il proprio work-life balance e la qualità della vita in generale, giovando, di riflesso, anche all’azienda stessa.

Il dipendente sarà più motivato, migliorerà la sua performance e contribuirà alla logica di management win–win, che si verifica quando tutti i soggetti coinvolti sono “soddisfatti”.

Andando ad analizzali nel dettaglio, i fringe benefit, essendo considerati benefici accessori alla retribuzione ordinaria, possono essere offerti dalle aziende ai singoli dipendenti o a un numero ristretto di lavoratori.

La scelta di erogare questi benefit può essere presa da un’azienda in autonomia, senza che essi siano compresi nella contrattazione collettiva o negli accordi sindacali. In questi casi, la tipologia di agevolazione offerta e le modalità di erogazione vengono inserite nel contratto di lavoro  individuale.

I flexible benefit, data la loro natura di retribuzione complementare al compenso ordinario, non possono essere offerti a un numero ristretto di lavoratori, ma devono essere erogati alla totalità dei dipendenti o a un intero settore o categoria di lavoratori. Infatti, i flexible benefit, solitamente sono regolamentati dai Contratti Collettivi di Lavoro (CCNL) di una determinata categoria o sono il frutto  di contrattazioni sindacali di secondo livello.

Sotto un punto di vista fiscale, i fringe benefit sono inquadrati come compensi in natura, la soglia di esenzione fiscale è di 258,23 euro, come quanto previsto dall’art. 51 del TUIR, che disciplina la materia.

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I flexible benefit, invece, sono totalmente esenti dall’imposizione fiscale anche per le aziende a patto, però, che essi vengano erogati per rispettare gli accordi compresi nel CCNL o nelle contrattazioni sindacali di secondo livello. Anche attraverso la stesura di un Regolamento o un contratto aziendale è possibile l’erogazione dei servizi indicati nell’articolo 100 TUIR senza limite di deducibilità per l’azienda (pari al 5 per 1000 delle spese per il personale)

Solo se i flexible benefit vengono offerti ai lavoratori senza la stesura di un regolamento da parte dell’azienda, non sarà possibile ottenere alcuna esenzione e saranno soggetti a tassazione per il loro intero valore.

Investire sulla formazione

Un altro modo per abbattere il costo del dipendente è la formazione che apparentemente può sembrare un ulteriore costo, ma di fatto è un investimento fondamentale per le aziende. Perché? Perché così il datore di lavoro fornirà ai propri dipendenti tutti gli strumenti necessari per acquisire il know how necessario per permettere all’azienda di raggiungere il vantaggio competitivo.

 
 

Investire nella formazione fa inoltre sentire i propri dipendenti più soddisfatti: tenderanno, infatti, a non sentirsi destinati a svolgere sempre le stesse attività, che nel tempo possono diventare routinarie e poco “stimolanti”, ma percepiranno di lavorare in un ambiente più dinamico e ricco di stimoli.

Questo contribuirà a trattenere il dipendente in azienda più a lungo e permettergli una crescita professionale. In sostanza quindi, la formazione dei lavoratori è funzionale all’adeguamento professionale o di riqualificazione dei propri dipendenti.

Per esempio, uno strumento utile potrebbero essere i crediti di imposta 4.0, che prevedono il rimborso fino al 50% delle spese sostenute su una cifra massima di 300.000 euro.

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