Welfare aziendale
19 Set 2022
| 7'

Cos’è il burnout e come affrontarlo con il welfare aziendale

Dal 2019 il burnout è considerato una vera e propria sindrome con i suoi sintomi e i suoi effetti, non solo sulla produttività ma anche sull’equilibrio dei dipendenti. Scopriamo da cosa è causato e come gli strumenti del welfare possono contrastarlo.
Autore
Cristina Maccarrone
burnout e welfare aziendale

Periodi particolarmente stressanti, un ambiente tutt’altro che sano, orari estenuanti, richieste continue possono portare le persone a non sentirsi più all’altezza del proprio lavoro, a esaurirsi, in poche parole a “scoppiare”. 

E su questo può influire anche lo smart working che porta le persone a passare da una call all’altra senza avere il tempo di riposare, raccogliere le idee e a volte addirittura di pranzare. 

Quando si verificano situazioni simili per un arco di tempo piuttosto lungo si parla di burnout. Burnout che nel 2019, con la revisione da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dell’International Classification of Disease, ossia la classificazione delle malattie riconosciute e dei problemi a esse correlati, è stata definito una vera e propria sindrome. Che può colpire tutti indistintamente: manager, dipendenti, responsabili delle Risorse Umane. E che può essere affrontata anche grazie al welfare aziendale

Prima di capire come, cerchiamo di definire meglio cos’è la sindrome del burnout, quali sono i sintomi, cosa comporta e come gestirla in azienda.

Cos’è il burnout e chi può esserne colpito

Dare una definizione di burnout è importante perché a volte si tende a dire di essere in una situazione simile, ma in realtà non è così. Si è in burnout quando si sta vivendo un vero e proprio esaurimento, un crollo, che porta a una condizione di stress permanente e strettamente collegata all’ambito lavorativo. Un logorio psicofisico che comporta stati depressivi, demotivazione, disinteresse, delusione, il che, dal punto di vista lavorativo, si traduce sicuramente in un peggioramento della produttività ma anche del clima aziendale

Fino a qualche tempo fa si riteneva che il burnout fosse tipico delle cosiddette “helping profession”, ossia di professioni come medici, infermieri, operatori socio-sanitari, avvocati ecc…, a stretto contatto con il pubblico e che si ritrovano quotidianamente a raccoglierne il vissuto di dolore e capire come migliorare la situazione.

Da alcuni anni a questa parte, invece, si è riconosciuto che il burnout può colpire qualsiasi tipo di professione – specie di chi ha delle mansioni che prevedono delle responsabilità – ed essere collegato a qualsiasi contesto lavorativo.

Il burnout può quindi colpire anche chi si occupa di ricerca e selezione del personale che ha la responsabilità di trovare le persone giuste, gestire la fase di onboarding e oggi ha un ruolo sempre più strategico per il business, nell’aiutare a definire la cultura aziendale e favorire il benessere organizzativo. 

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Quali sono i sintomi del burnout?

Come una persona può riconoscere di essere in burnout e come colleghi, manager, responsabili HR possono aiutarlo?

Innanzitutto è fondamentale conoscere i sintomi del burnout che possono essere di carattere psichico, fisico e comportamentale. Eccone alcuni:

  • essere eternamente stanchi e senza energie, condizione che non passa nemmeno con il riposo
  • avere frequenti mal di testa e dolori muscolari
  • sentirsi demotivati e senza stimoli, anche di fronte a novità o sfide inattese
  • sentirsi falliti o con scarsa autostima
  • provare disinteresse nei confronti del proprio lavoro
  • essere in tensione continua e facilmente irritabili
  • non sentirsi in grado di prendersi delle responsabilità
  • avere la tendenza a procrastinare
  • sentire la necessità di sfogare sugli altri la propria frustrazione.

Cause ed effetti del burnout

Se questi sono i sintomi, da cosa è causato il burnout? Saperlo è fondamentale perché, come dicevamo, è una sindrome strettamente collegata all’ambiente di lavoro e all’organizzazione delle attività quotidiane. Secondo uno studio condotto dagli esperti Boutou, Pstisiou, Sourla e Kioumis nel 2019, tra i fattori di rischio ci sarebbero il fatto di assegnare ai dipendenti carichi di lavoro eccessivi che si protraggono nel tempo. 

Come sappiamo, infatti, ogni persona può sopportare turni stressanti e periodi di lavoro particolarmente intensi per un arco di tempo davvero limitato, se invece un’organizzazione simile diventa una prassi è sicuramente un campanello d’allarme e a lungo andare può portare ai danni da stress da lavoro correlato. Ecco perché bisogna riconoscere il giusto riposo e alleggerire le persone che hanno lavorato in questo modo non appena possibile. 

Sul burnout influisce anche lo scarso senso di appartenenza a un’organizzazione così come un ambiente in cui ci sono grandi tensioni tra colleghi. Allo stesso tempo, tra le cause c’è il fatto di non ricevere feedback sul lavoro portato avanti (e magari con tanta fatica) così come un fattore scatenante può essere la mancanza di autonomia nel condurre le proprie attività e un controllo eccessivo da parte dei responsabili di team o dei datori di lavoro.

Per quel che riguarda gli effetti del burnout, questi si riversano sia sull’azienda che sulle persone. Lato aziendale, avere delle persone in burnout comporta un peggioramento della produttività, senz’ombra di dubbio, che si ripercuote sulla qualità del lavoro. 

 
 

Chi è così stressato tende a scoppiare, a fare errori, a essere poco gentile con i colleghi, oltre che con i capi. Il burnout può inoltre causare distrazioni, lavori non portati a compimento, svolti in modo superficiale e questo a lungo andare, può influire, anche sulla reputazione dell’azienda.

Chi è in burnout potrebbe decidere di licenziarsi, aumentando così il turnover aziendale, o di mettersi in malattia creando problemi di assenteismo. Il che, a cascata, porterebbe altre persone a lavorare molto di più per sopperire alla mancanza di personale.

Dal punto di vista di chi è in burnout, inevitabilmente essere in uno stato di tensione continua ha delle ripercussioni sulla propria vita personale. Peggiorano i rapporti con i propri familiari, con gli amici e si va verso una situazione di squilibrio costante che può tradursi in difficoltà a dormire, inappetenza, ma portare anche a disturbi molto più gravi.

Come affrontare il burnout con il welfare aziendale

Migliorare il benessere organizzativo, ascoltare i dipendenti, prevedere incontri mensili o settimanali quando si intuisce o viene segnalata una situazione critica sono sicuramente i primi passi da compiere.

Ecco perché è importante saper cogliere i segnali di chi è in burnout e cercare di monitorare la situazione. Inoltre, è fondamentale redistribuire i carichi di lavoro.

Ma non solo: un grande aiuto può venire dall’avere uno psicologo in azienda o dall’offrire consulenza psicologica online

Tra le soluzioni proposte da Edenred Welfare c’è per esempio lo sportello psicologico che è stato progettato per affrontare momenti critici come quelli vissuti da chi è in burnout. Grazie a questo, il dipendente può confrontarsi con professionisti che hanno esperienza di situazioni simili e che possono riconoscerle fin dai primissimi segnali.

E se chi è in burnout decide di rivolgersi a un professionista in maniera autonoma? Anche in questo caso il welfare aziendale può venire incontro grazie ai rimborsi delle spese sostenute, tra cui c’è appunto quella per lo psicologo.
Tramite il conto welfare, il dipendente può richiedere il rimborso in maniera autonoma per tutte quelle spese mediche che non sono già coperte e dai piani sanitari a sua disposizione.

Il welfare aziendale, poi, può prevenire situazioni di burnout offrendo benefit aziendali che aiutino le persone a svagarsi, vivere momenti di relax sia da soli che con i propri familiari. Tra questi, per esempio, rientrano convenzioni con palestre, centri yoga, ma anche teatri e cinema così come pacchetti vacanze, viaggi e così via.

Senza dimenticare, poi, il ruolo importante che ha la cultura aziendale e il fatto di garantire il benessere organizzativo in tutti i modi possibili. Altrettanto importante è fare un’analisi del clima aziendale per cercare di capire quali tensioni ci sono, come lavorano i team e come sono i rapporti tra i manager e le persone da loro gestite. 

Inoltre, una buona idea, per garantire maggiore coinvolgimento delle persone e aumentare il senso di appartenenza, può essere puntare sulla formazione esperienziale che porta le persone a vivere situazioni di gruppo, ad affrontare nuove sfide e a cimentarsi in situazioni diverse dal solito. 

Situazioni attraverso cui possono emergere eventuali dissapori, insoddisfazioni latenti e tutto quello di cui non ci si rende conto quando si è impegnati a rispettare le scadenze e a venire incontro alle esigenze dei clienti. 

Capire il problema per tempo può aiutare a far sì che le persone non arrivino al punto di non ritorno, ma possano conquistare un equilibrio man mano. E in questo, come abbiamo visto, anche il welfare aziendale può dare il suo contributo.

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