Cultura aziendale
16 Apr 2022
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Grandi dimissioni: perché il fenomeno cresce in Italia e come contrastarlo

Dai numeri ai motivi per cui gli Italiani abbandonano il proprio posto, ecco come contrastare la Great Resignation con il welfare aziendale, il clima aziendale, la formazione e il lavoro ibrido.
Autore
Cristina Maccarrone
great resignation in italia

Che lo si dica all’italiana “Grandi Dimissioni”, o strizzando l’occhio al mondo anglosassone con Great Resignation, il fenomeno esiste ed è di grande attualità. Anche se per quel che riguarda il nostro Paese bisogna fare le dovute differenze rispetto al mondo americano dove, a partire dal 2021 si è assistito a un vero e proprio problema di dimissioni di massa.

Da parte di persone che spesso non hanno ancora un nuovo impiego, ma che, complice la crisi scatenata dalla pandemia, hanno deciso di mollare tutto. A volte dando vita a iniziative personali al grido di You Only Live Once (si parla infatti anche di Yolo economy).

Cerchiamo di capire di più sulle grandi dimissioni, sulle caratteristiche italiane di questo fenomeno e soprattutto come contrastarlo, anche avvalendosi del welfare aziendale e tenendo in considerazione alcune iniziative legate alla cultura aziendale.

Cosa sono le grandi dimissioni o Great Resignation

Le Grandi Dimissioni colpiscono per quell’aggettivo, grandi, che fa capire come non si tratti affatto di un fenomeno isolato e da trascurare. Aggettivo che si ritrova anche nell’altro modo di definire tutto ciò, ossia Big Quit.

Stando a quanto dice McKinsey, per quel che riguarda gli USA si tratterebbe, tra l’aprile e il settembre del 2021, di 19 milioni di persone che hanno lasciato il lavoro con 4,5 milioni che le hanno seguite nel mese di novembre

Su questa “rivoluzione” nel mondo del lavoro ha sicuramente influito la pandemia che ha portato a una crisi economico-sociale da un lato difficilmente prevedibile. 

 
 

Ma non solo, probabilmente quello che abbiamo vissuto in questi due anni ha fatto emergere aspetti della gestione del lavoro che non erano del tutto condivisi dai dipendenti e sui quali prima di un evento così epocale e imprevedibile, si passava oltre.

Basti pensare allo smart working che, come diciamo sempre su questo blog, è e deve essere uno strumento di welfare che però, prima del Covid, non era così largamente diffuso. Diventato quasi l’unica condizione per lavorare durante il 2020 e il 2021, per quelle professioni che si possono svolgere in questa modalità, continua a essere molto richiesto ed è adesso difficile tornare al pre-pandemia.

Anche visto e considerato che, come emerge da una ricerca condotta da Reverse, azienda nel settore della ricerca e selezione del personale, quando si parla del futuro il 75% dei lavoratori trova che la scelta migliore sia una gestione del lavoro mista, in parte in modalità smart e in parte in presenza, in base all’attività prevista. 

La Great Resignation in Italia: i numeri

Per quel che riguarda l’Italia, molto interessante è una ricerca pubblicata su La Voce.info e da Francesco Armillei, assistente di ricerca all Suntory and Toyota International Centres for Economics and Related Disciplines (STICERD) della London School of Economics e socio del think-tank Tortuga. 

Cosa emerge nel nostro Paese riguardo alla Great Resignation? Sicuramente che si tratta di un fenomeno più contenuto – un terzo in meno – ma cui però va prestata grande attenzione. Dando voce ai numeri, la ricerca, per il periodo che va da aprile a giugno del 2021, parla di 484 mila dimissioni su un totale di 2,5 milioni di cessazioni di rapporti lavorativi. 

Interessanti anche le variazioni rispetto agli anni precedenti: + 37% sul primo trimestre del 2021, ma un + 85% se si fa il confronto con il 2020 mentre solo il 10% rispetto al 2019. Anche i dati del Ministero del Lavoro confermano questo trend e parlano di dimissioni volontarie pari a 1.195.875 nel periodo che va dall’1 aprile al 10 novembre del 2020, + 23% rispetto allo stesso periodo nel 2019.

Chi lascia il lavoro in Italia: l'identikit

Ma chi è che lascia il lavoro in Italia? L’identikit riguarda in particolare gli uomini con una variazione del 18% nel periodo 2019-2021 rispetto all’11% delle donne

Ma qui c’è da fare un discorso anche di generazione: la percentuale più alta, sempre secondo i dati diffusi da Armillei, è quella nella fascia tra i 50 e 64 anni, 21% del totale di chi ha dato le dimissioni, a seguire chi ha tra i 30 e i 39 anni.

Sempre dall’articolo emerge poi il “peso” che ha il contratto sulla scelta di abbandonare il proprio lavoro: il 55% delle persone aveva un contratto attivo da 2-3 anni e da prima che iniziasse, dunque, la pandemia. Più che lasciare il lavoro fisso, da questi dati sembra che a pesare sia il fatto di avere un posto di lavoro a “termine”. 

Cosa spinge gli Italiani a lasciare il posto di lavoro: 10 motivi

Ma quali sono i motivi dietro queste Grandi Dimissioni? Ad analizzarli è stata Randstad con il suo Randstad Workmonitor che ne ha individuato sostanzialmente 10.

  • Relazioni professionali con colleghi e responsabili: si lascia un posto di lavoro perché non ci si trova bene. Il che non vuol dire che si sia in conflitto con gli altri, ma probabilmente non “allineati” su obiettivi, modo di lavorare, riconoscimento per quanto fatto e così via.
  • Contenuto del lavoro: vale a dire “Quello che faccio è quello che voglio davvero?”, è quanto si chiedono in molti. La pandemia, la paura di contagiarsi e le conseguenze che ne possono derivare ha fatto spostare l’ago della bilancia più sulle cose che soddisfano anziché sul portare avanti quanto si è perseguito finora.
  • I valori aziendali: conta molto il sentirsi allineati con quello in cui crede l’azienda e come lo porta avanti. Molte persone non si sentono più di scendere a compromessi e vogliono lavorare per aziende allineate con i loro ideali.
  • Lo stipendio: conta ancora, sì. E se viene considerato come insufficiente rispetto al proprio lavoro, può succedere che una persona si guardi altrove, attratta da situazioni più adatte anche economicamente. Questo capita molto di più alle persone senior.
  • Il tempo o ça va sans dire dire il cosiddetto work-life balance. In tempi di grandi restrizioni, tra zone rosse, arancioni e gialle, quando siamo stati costantemente connessi ci siamo accorti di quanto conti potersi dedicare alle proprie cose. E i lavoratori oggi lo sanno, ecco perché sono meno propensi a sacrificarsi e tendono a scappare da condizioni cosiddette ‘tossiche’. Leggi: riunioni la sera tardi, richieste last minute, telefonate anche mentre si è in ferie.
  • Opportunità di crescita: a questo pensano in particolare i lavoratori più giovani alla ricerca di crescita non tanto e non solo in termini di carriera, ma anche di competenze, stimoli continui.
  • Specializzazione: connesso a quanto detto sopra, le persone sono molto più interessate a specializzarsi anziché cambiare livello. E qui entra sicuramente in gioco il ruolo della formazione.
  • Il clima aziendale, leggi anche ambiente di lavoro accogliente, positivo e stimolante. No a spazi angusti o troppo grandi e sì a favorire la collaborazione e la produttività a essa connessa.
  • Smart working o lavoro da remoto: per molti lavoratori diventa essenziale stare in un’azienda che dia la possibilità di lavorare a distanza, magari da luoghi diversi, e punti molto sulla flessibilità e sul raggiungimento degli obiettivi e meno sulla presenza fissa in sede. Ovviamente, dove possibile.
  • Desiderio di cambiare: tra i motivi non ci può che essere qualcosa che è insito un po’ in tutti, chi più chi meno, ossia la voglia di cambiare, di superare la propria zona di comfort, di aprirsi a nuove sfide. Punto da tenere sempre in considerazione specie per un certo tipo di persona che sono alla ricerca costante di novità.

Sapevi che il welfare aziendale può aiutarti a venire incontro ai bisogni dei dipendenti? Scopri i vantaggi di un piano welfare.

Come contrastare le Grandi Dimissioni

Un grande aiuto per contrastare le Grandi Dimissioni viene sicuramente dal welfare aziendale oltre che dal lavorare sulla cultura aziendale, sul clima e sui nuovi spazi di lavoro.

Il ruolo del welfare aziendale

Alla luce di quanto abbiamo appena detto, un’azienda che vuole contrastare il fenomeno delle Grandi Dimissioni deve sicuramente puntare su avere attenzione e cura delle persone che lavorano per essa.

Può fare questo attraverso dei benefit aziendali che favoriscano il work-life balance per e possono concretamente migliorare la vita di dipendenti e collaboratori.

Tra questi: il sostegno per le spese scolastiche dei figli, assistenza familiare per i genitori dei dipendenti non autosufficienti, servizi di baby-sitting, nidi aziendali.
E ancora: incentivi alla mobilità sostenibile grazie al trasporto pubblico o a servizi di car sharing e car pooling.
Una mobilità che non è di certo in contrasto con il rientro in ufficio, ma che va di pari passo con una modalità di lavoro ibrido, per esempio, garantendo che gli spostamenti avvengono senza ulteriori costi per le persone.

Così come altrettanto importante, in un momento in cui l’attenzione verso la propria salute è sicuramente cresciuta, offrire un sostegno per le spese mediche sanitarie, sia per i dipendenti che per i familiari, è sicuramente molto attrattiva.

Ma i benefit aziendali e le soluzioni welfare non finiscono certo qui: piace molto ai dipendenti la possibilità di prenotare un viaggio con un voucher welfare o utilizzarlo per le attività culturali che man mano sono in ripartenza.

Oltre ai benefit aziendali, per contrastare il fenomeno della Great Resignation si possono utilizzare degli strumenti che aiutano a creare un clima aziendale positivo tra i colleghi.

Tra questi per esempio i buoni pasto per una pausa pranzo nei pressi dell’ufficio che diventi un momento di condivisione e di incontro dopo il tanto tempo trascorso lontani e vedendosi solo tramite uno schermo. I buoni pasto, poi, sono uno strumento prezioso di integrazione al reddito: possono essere utilizzati per la spesa alimentare, in modalità esentasse (fino a 8 euro per i buoni pasto elettronici, 4 per i cartacei), sia nei supermercati che anche per fare le spesa online o per il food delivery. 

Senza dimenticare i buoni acquisto, altro supporto prezioso che un dipendente o collaboratore può utilizzare per comprare ciò che più gli serve: libri, viaggi, complementi di arredo, strumenti per il bricolage. Questi sono solo esempi perché il loro impiego è vasto e riguarda anche il carburante.

Con i buoni acquisto, infatti, un’azienda va anche nella direzione del bonus benzina 2022: voucher che un’azienda, di qualsiasi dimensione, riconosce ai propri dipendenti per fare rifornimento di carburante fino a 200 euro all’anno senza tasse né contributi previdenziali. Una cifra che, per tutto quest’anno, va ad aggiungersi ai fringe benefit esenti fino a 258,23 euro.

L’importanza del giusto clima aziendale

Oltre ai benefit aziendali, per contrastare le Grandi Dimissioni, bisogna lavorare molto sia sulla cultura aziendale che sul clima aziendale.

I singoli benefit infatti vanno inseriti in un contesto più ampio in cui si cerchi non solo di dare qualcosa di concreto e tangibile, ma anche di ascoltare cosa vogliono le persone

 
 

Ecco perché conta molto condurre delle indagini interne, prevedere degli incontri continui tra il personale HR e i dipendenti, lavorare sul wellbeing aziendale, cercare di progettare insieme alle persone come vogliono che sia il loro posto in azienda.

Ove possibile, è importante capire se sia il caso di attuare una modalità ibrida o prevedere delle settimane di full remote, qualora per la persona sia importante lavorare dalla casa che ha affittato mentre era in pandemia – per fare un esempio – o se diventa fondamentale, per i motivi più svariati, non essere costretti ad andare in ufficio.

Così come di contro, se ci sono persone che hanno bisogno di tornare in azienda sia per via delle attività che svolgono che per allontanarsi da quell’abitazione dove passano fin troppo tempo, si può in questi casi pensare a una modalità di lavoro che sia quasi del tutto in presenza.

Inoltre, bisogna pensare a riorganizzare gli spazi, in modo che l’ufficio diventi la sede di incontro per persone che hanno l’esigenza di lavorare insieme a un progetto, senza che debbano prenotare settimane prima. Una sede di lavoro che diventi sempre più adatta a quello che succede e sempre meno disegnata a priori. 

Percorsi di carriera strutturati e personalizzati

Altrettanto importante è costruire percorsi di carriera strutturati e non definiti a priori

 
 

Come evidenziato dalla ricerca di Randstad, non per tutti è importante avere delle persone da gestire e “salire di livello”, per molti può esserlo di più lavorare in modalità ibrida e accrescere le proprie competenze.

Un piano di retention delle persone deve considerare questo e tutti gli altri fattori così come lavorare molto sulla formazione. Non solo in ottica di reskilling, ossia di acquisizione di nuove competenze, ma anche di upskilling, aggiornamento delle competenze, magari progettando insieme alle persone i percorsi in modo da renderle partecipi e propositive.

Ingaggiare i dipendenti vuol dire renderli sempre più protagonisti di ciò che vivono ogni giorno e farli sentire davvero parte di qualcosa. Cosa che è possibile anche a distanza, se si lavora sulla vera motivazione per cui si fa quel lavoro anziché un altro. 

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