Welfare aziendale
17 Feb 2023
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Welfare aziendale 2023: cosa aspettarci tra novità e agevolazioni

L’ultimo anno ha previsto importanti cambiamenti per il welfare aziendale. Vediamo le principali novità introdotte e cosa accadrà nel 2023.
Autore
Redazione
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Il welfare aziendale nel 2023 confermerà il suo grande valore sociale in Italia? Dopo i numerosi provvedimenti legislativi in materia di fringe benefit, questo strumento è sempre più apprezzato dai dipendenti e introdotto in particolare tramite flexible benefit da un numero crescente di aziende.
Cosa dobbiamo aspettarci nel corso di quest’anno?

Novità sul welfare aziendale per imprese e dipendenti nel 2023

Con l’aumento dell’inflazione, la guerra in Ucraina e il caro bollette nell’ultimo anno è stato necessario introdurre misure speciali per sostenere cittadini e imprese, come l’aumento della soglia di defiscalizzazione dei fringe benefit a 3.000 euro per effetto del nuovo decreto Aiuti-quater n. 176/2022, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 270 del 18 novembre 2022 e intitolato “Misure urgenti di sostegno nel settore energetico e di finanza pubblica”. Un bel salto rispetto al precedente tetto di 258,23 euro, poi innalzato a 600 euro dal decreto Aiuti-bis dello scorso agosto. 

L’esenzione riguardava tutti i beni e servizi di welfare aziendale che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente (articolo 51 del TUIR), incluse le somme erogate o rimborsate ai lavoratori per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale. 

Queste misure hanno rappresentato un vero e proprio riconoscimento del valore sociale del welfare aziendale e hanno contribuito ad aumentare il potere di acquisto dei lavoratori, dando loro un supporto economico in un periodo caratterizzato da numerose difficoltà. 

L’ultimo innalzamento, tuttavia, è rimasto valido fino al 31 dicembre 2022 e la misura non è stata riconfermata per il 2023: attualmente il limite di esenzione fiscale per i fringe benefit resta fissato a 258,23 euro. 

Su questo tema è intervenuto Emmanuele Massagli, Presidente di AIWA (Associazione Italiana Welfare Aziendale) sottolineando come, nel testo della Legge di Bilancio, non siano stati inseriti cambiamenti per quanto concerne i fringe benefit. Il suggerimento fornito da AIWA è di definire una soglia dei fringe che sia coerente con il valore medio dei piani di welfare. 

Per quanto riguarda la Legge di Bilancio 2023, questa prevede una novità soltanto per l’abbassamento dell’aliquota sostitutiva del premio di risultato, che passa dal 10% al 5%

Il Decreto Trasparenza (Decreto-legge n. 5 del 14 gennaio 2023 ), inoltre, dà la possibilità di offrire ai dipendenti buoni carburante che non concorrono alla formazione del reddito e sono interamente deducibili dal reddito di impresa, fino ad un limite massimo di 200 euro per lavoratore. Un ulteriore contributo contro il caro carburante, in aggiunta ai 258,23 euro previsti come limite per l’erogazione di fringe benefit.

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Cosa può fare il welfare aziendale per il benessere dei dipendenti nel 2023 e per le aziende

Per il futuro è senz’altro auspicabile un superamento della logica “emergenziale” per giungere ad una valorizzazione a 360 gradi del welfare aziendale. Per renderne il ruolo sociale ancora più efficace, ad esempio, sarà utile giungere a un allargamento di beni e servizi a supporto della conciliazione vita-lavoro, della genitorialità, della salute.

Del resto, a trarre beneficio dalle iniziative di welfare sono sia le aziende sia i lavoratori: le prime, infatti, possono beneficiare di un abbattimento del costo del lavoro dal 30% al 40% rispetto agli importi lordi erogati in busta paga ai propri dipendenti. E, in più, hanno a disposizione un potente strumento per motivare il personale, migliorare la brand identity e la reputazione aziendale.

I lavoratori, dal canto loro, possono disporre del 100% del valore del credito, senza alcuna tassazione, con un incremento significativo del loro potere d’acquisto e la possibilità di garantire un maggior numero di beni e servizi alle loro famiglie.

Strutturare un buon piano welfare crea la possibilità alle aziende di riuscire ad avvicinarsi ai propri collaboratori, andando incontro alle loro esigenze e aiutandoli a conciliare vita privata e lavorativa, nell’ottica del cosiddetto work-life balance. Il welfare aziendale ha l’obiettivo principale di aumentare l’engagement del dipendente, il quale percepisce, in questo modo, di essere compreso e ascoltato e questo comporta lavoratori più soddisfatti e produttivi. 

Tra i benefit aziendali pensati per andare incontro alle esigenze dei dipendenti si possono trovare benefit come buoni pasto, buoni acquisto per la spesa, lo shopping e il carburante, servizi per istruzione, sanità, viaggi, sport, cultura, ecc. Oltre a questo, si possono citare anche iniziative di welfare sul fronte della mobilità sostenibile, a supporto della parità di genere in azienda, il maggiordomo aziendale, lo Sportello Genitori per la fase di adolescenza e servizi di People Care per dare supporto nei casi di violenza contro le donne o nella ricerca e selezione di assistenti familiari. 

La pandemia di Covid-19, inoltre, ha reso necessaria l’adozione di misure volte a contrastare la diffusione dei contagi, come lo smart working. Le aziende hanno iniziato ad utilizzare questo sistema per consentire ai propri dipendenti di lavorare anche da casa, ma, nonostante l’emergenza sanitaria sia finita, il tema dello smart working continua ad avere fondamentale importanza: per questo motivo diverse aziende lo inseriscono nei propri piani welfare.

Oggigiorno, dipendenti e candidati scelgono se restare in un’azienda o valutare una nuova posizione anche in base alla presenza dello smart working, perché il riuscire a bilanciare vita privata e lavorativa risulta essere un elemento prioritario anche rispetto allo stipendio offerto.

Basti pensare che un fenomeno emergente negli ultimi anni è la cosiddetta “Great Resignation”. Quando si parla di Great Resignation si fa riferimento alle dimissioni di massa che si sono susseguite a partire dal 2021 in America, ma il tema ha coinvolto anche il nostro Paese. 

 
 

La Great Resignation dipende, secondo le ricerche, da una percezione, da parte dei lavoratori, di lavorare per aziende che non adottano misure per andare incontro alle loro esigenze sulle modalità e i tempi di lavoro.

Su questa tematica, una ricerca condotta da Reverse, azienda nel settore della ricerca e selezione del personale, dimostra che, secondo il 75% dei lavoratori, è preferibile una gestione del lavoro che sia in parte in modalità smart e in parte in presenza, in base all’attività prevista. Un’ulteriore indagine è quella di Aidp (Associazione per la Direzione del Personale), che dimostra che i soggetti più coinvolti siano quelli appartenenti alla fascia di età 26-35 anni, seguiti dalla fascia di età 36-45 anni.

Le persone desiderano dare priorità alla propria sfera personale: in particolar modo, per le nuove generazioni l’aspetto economico passa in secondo piano rispetto al riuscire ad ottenere un maggior equilibrio tra sfera privata e lavorativa. 

Un altro fenomeno molto attuale è il Quiet Quitting: si tratta di un comportamento lavorativo che consiste nel fatto che i dipendenti lavorino il minimo indispensabile, portando avanti passivamente le proprie mansioni, senza fornire, tuttavia, un reale contributo all’azienda ed evitando gli straordinari.

Dati Istat rivelano che, nel 2022, sono stati 8 milioni gli italiani che hanno lasciato il proprio lavoro post pandemia, mentre, in molti, decidono di non dimettersi, ma di lavorare lo “stretto necessario”. I dati di Gallup, società di ricerca che misura lo stato di soddisfazione dei lavoratori nel mondo, rivelano che solo il 21% dei dipendenti è entusiasta del proprio lavoro, solo il 31% si sente molto coinvolto dal proprio lavoro e il 18% dichiara di essere deluso.

Le cause principali sarebbero da ricercare in un profondo senso di insoddisfazione e in una perdita di ambizione che caratterizzano questi lavoratori, i quali percepiscono di non avere stimoli per impegnarsi e crescere. Tuttavia, le motivazioni alla base del Quiet Quitting si possono ritrovare anche nell’incapacità delle aziende di creare dei luoghi di lavoro stimolanti, non riuscendo a valorizzare i propri dipendenti e non costruendo con loro un rapporto di fiducia.

Il welfare aziendale costituisce, in questo caso, un’ottima strategia da adottare. Creare politiche di welfare che possano tutelare il lavoratore e aiutarlo a raggiungere i propri obiettivi professionali, mantenendo un work-life balance, consente di: ridurre il turnover, contenere il costo del lavoro, far crescere la brand reputation, attrarre nuovi clienti, raggiungere risultati finanziari e una maggiore sostenibilità.
Il rispetto di questi elementi fa in modo che i dipendenti possano sentirsi maggiormente coinvolti nel proprio ambiente lavorativo, riuscendo a costruire un senso di appartenenza, avendo più motivazione e migliorando la propria performance. 

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